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Le tre leve della riforma della pubblica amministrazione

La riforma della PA targata Madia/Renzi, annunciata il 30 aprile come "una ruspa" che entrerà nella PA, contiene moltissimi temi e si articola in tre grandi linee di azione a loro volta suddivise in 44 futuri provvedimenti, molti dei quali necessiteranno a loro volta di più strumenti normativi.

Come sempre, quando l'elenco delle cose da fare diventa così lungo, il rischio è di mettere insieme pere e mele e di affiancare svolte storiche con grida su aspetti già abbondantemente normati, per cui servirebbe solo far rispettare le leggi, come ad esempio nel caso della mobilità obbligatoria.

Vanno quindi distinte e sostenute le leve, muovendo le quali, sia possibile quella "rivoluzione" più volte annunciata negli anni da svariati Governi e mai compiutamente realizzata. Tali leve innovative sono, a mio parere, tre e da sole potrebbero bastare a rivoluzionare davvero la PA:

1. Se si vuole cambiare la PA non si può che partire dalla dirigenza. Sul punto nella famosa lettera ai dipendenti pubblici si possono evidenziare tre novità:
•si passa da una carriera per fasce, ovvero per posizioni, ad una carriera per incarichi a termine di cui deve essere possibile valutare ogni volta i risultati; già questa è una riforma epocale.
•Con il ritorno al ruolo unico si mettono le basi per un vero mercato delle competenze e delle professionalità, potenzialmente competitivo, che quindi possa mirare ad un matching continuo tra competenze e necessità. Credo sia un punto chiave che sottoscrivo in pieno, ma consiglierei di non generalizzare e di non mischiare le funzioni dirigenziali di gestione e di policy making, che sono la maggior parte e che devono rientrare in questo libero mercato, dalle funzioni di garanzia, che sono poche e che non possono dipendere dalla scelta della politica.
•In ultimo quello forse più importante in assoluto, il ripensamento del paradigma della valutazione. Non è banale e il documento gli riserva solo un accenno, anche se sia Renzi sia Madia ne hanno poi parlato in conferenza stampa. Ci si propone di valutare l'operato della dirigenza sulla base degli outcome: l'andamento dell'economia dice il testo, ma credo che sarà necessario individuare poi precisi indicatori di impatto per ciascuna policy. Il passaggio dalla valutazione per output (pure molto lacunosa in questi anni) alla valutazione per outcome, almeno della dirigenza apicale, si iscrive sia nella logica aziendale per cui il board di direzione di un'azienda non prende (o almeno non dovrebbe prendere) premi se l'azienda va male, sia nella nuova importanza da dare alla dirigenza nell'elaborare le politiche e quindi nella responsabilità sui risultati in termini di cambiamenti percepiti. Corollario non da poco di questi tre principi sarà mettere ordine nella giungla retributiva della dirigenza pubblica che ha visto una decisa crescita delle retribuzioni soprattutto per le funzioni apicali (clicca per vedere la figura su dati RGS).

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