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Questo articolo è stato pubblicato il 04 luglio 2014 alle ore 07:28.
L'ultima modifica è del 04 luglio 2014 alle ore 07:28.

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Dopo lo spettacolo poco edificante mostrato negli ultimi giorni a Bruxelles, dove lo slancio anti-crisi promesso dalla leadership europea dopo il voto del 25 maggio si è rapidamente esaurito in liti sulle nomine e interminabili polemiche sulla gerarchia tra flessibilità e riforme, la Bce di Mario Draghi si è nuovamente confermata per i mercati come il vero punto di riferimento politico e finanziario dell'Eurozona. E forse anche qualcosa di più: come il nuovo «lender of last resort» per l'intera finanza globale.

Dopo la decisione della Federal Reserve di ridurre di 10 miliardi al mese la manovra di sostegno dei mercati finanziari (il cosiddetto tapering), Francoforte - grazie alle misure annunciate ieri - è ora percepita come l'unica banca centrale del mondo in grado di affiancare e sostituire la Fed nel ruolo di garante della liquidità globale. Quantitative easing, acquisto di titoli garantiti dai mutui (i cosiddetti Abs), prestiti illimitati e a tasso zero per le banche e altre misure sperimentate con successo in America avranno ora cittadinanza europea, con la speranza che prima o poi producano gli stessi effetti visti oltre-Atlantico: stabilità finanziaria, ripresa economica e industriale, prestiti alle famiglie e soprattutto alle imprese, che ormai da anni vedono scendere il livello di finanziamenti erogati dalle banche. In questo senso, vale la pena sottolineare che nel definire le nuove misure salva-euro la Bce ha preso in prestito non solo gli strumenti con cui la Fed (e in parte la Bank of Japan) ha finanziato dopo il 2008 la ripresa dei mercati borsistici e obbligazionari, ma anche quelli più incisivi sotto il profilo industriale sperimentati con successo dalla Bank of England.

L'avvio, a partire da settembre, del programma di prestiti illimitati a 4 anni solo alle banche che prestano soldi al settore privato significa non soltanto che i tassi di interesse resteranno bassi ancora a lungo, ma anche che le banche saranno costrette ad allentare i cordoni della borsa se vogliono continuare a prelevare denaro allo sportello della Banca centrale europea.
Dopo il tapering avviato nell'aprile del 2013 da Bernanke e poi confermato da Janet Yellen, il «grande Bancomat» del credito e della finanza, insomma, sembra essersi spostato da Washington al cuore della vecchia Europa. Del resto, la capacità propulsiva della liquidità mondiale che ha avuto finora la Fed sembra aver già ceduto punti a Francoforte. Tra il tapering e la svolta regolamentare della Fed nei confronti della banche Usa - a cui viene chiesto in modo crescente di rafforzare i ratios e il patrimonio in cambio dei tassi bassi - non solo si sta drenando la massa monetaria disponibile per investimenti finanziari sui mercati americani, ma anche l'effetto leva che questa è in grado di generare sulla liquidità globale.

Per capire meglio il punto è utile uno studio del colosso bancario Standard Chartered. La ricerca, appena pubblicata, mette in evidenza che 10 miliardi di dollari di aumento della massa monetaria negli Usa corrispondono oggi a 20,5 miliardi di dollari di liquidità aggiuntiva nel mondo: un anno fa, la stessa quantità di denaro erogata dalla Fed era in grado di mettere in moto altri 24,4 miliardi di dollari in più tra Europa e Asia. Allo stesso tempo, 10 miliardi di dollari in più di massa monetaria nell'Eurozona corrispondono oggi a 19,7 miliardi di dollari di liquidità aggiuntiva nel resto del mondo, in rialzo rispetto ai 18 miliardi di un anno fa. Risultato: con la riduzione del quantitative easing e la stretta sulle banche, la Fed ha perso gran parte del vantaggio che aveva sulla Bce nella capacità di generare la liquidità mondiale attraverso l'aumento della massa monetaria. In cifre, la forza in più della Fed rispetto alla Bce come «bancomat» mondiale è scesa dal 35% del 2013 all'attuale 5%. L'inversione dei ruoli e l'ascesa della Bce hanno comunque un prezzo: gli economisti, anche alla luce del discorso fatto ieri da Draghi, calcolano che per mantenere inalterata l'attuale liquidità di cui godono l'Europa e il resto del mondo, la Bce dovrà immettere sul mercato liquidità aggiuntiva per 10 miliardi di dollari ogni 9,5 miliardi di dollari in meno messi in circolazione dalla Fed.

E così si spiega la decisione annunciata ieri da Draghi di avviare a breve non solo la nuova manovra sui prestiti ma soprattutto quella sull'acquisto dei bond e degli Abs.
Anche se le incognite e i rischi di un tale ruolo non mancano, i vantaggi - almeno per i mercati - sembrano fuori discussione: dalle Borse ai mercati del reddito fisso, tutti gli investitori hanno accentuato ieri la loro propensione al rischio e alla speculazione, facendo forti acquisti di valori azionari e soprattutto di titoli di Stato a più alto rendimento come quelli italiani. Che a ben vedere, oggi, sono su livelli talmente bassi da creare più di un timore in termini di sostenibilità. Ma tant'è, poiché siamo in un'epoca di supplenze, l'abbondanza di liquidità aiuta non solo i mercati, le Borse e i titoli di Stato, ma da soprattutto da fiato a quei governi che dopo le promesse elettoriali vogliono mantenere davvero gli impegni sulle riforme. O questa, almeno, è la speranza di Draghi.

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