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Questo articolo è stato pubblicato il 09 luglio 2014 alle ore 06:56.
L'ultima modifica è del 09 luglio 2014 alle ore 08:19.

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Anche parlando ieri all'Università Tsinghua di Pechino il messaggio della cancelliera Merkel non è cambiato: «Sono contraria a finanziare la crescita con il debito. Piuttosto è meglio crescere meno». Si rivolgeva alla Cina e al rallentamento della congiuntura asiatica dopo anni di surriscaldamento sospinto da politiche pubbliche e la dichiarazione non va stiracchiata da Pechino fino a Bruxelles, ma chi deve capire capirà.
La Germania d'altronde sembra in grado di sopportare rallentamenti della crescita anche significativi come quello che si è manifestato sorprendentemente in queste settimane. Dopo un inizio 2014 a piena velocità, infatti l'economia tedesca ha frenato di colpo nel secondo trimestre. La produzione industriale a maggio è scesa per il terzo mese consecutivo, gli ordini e i consumi sono calati anch'essi e ieri il commercio estero ha dato un segnale molto peggiore delle attese. Secondo le indagini dell'Ifo, «l'indicatore di fiducia nell'industria manifatturiera è sceso a giugno considerevolmente. Le attese sono peggiorate. Diminuiscono le imprese che attendono un impulso dai mercati esteri e questo ha spinto a una revisione al ribasso dei piani di produzione e di assunzione». La sensibilità delle imprese tedesche agli eventi esterni è molto forte. O quanto meno, molto più forte di quella incorporata nell'agenda del governo e delle istituzioni. Le previsioni della Bundesbank per esempio non cambiano: la crescita del 2014 è stimata vicina al 2%, così come quelle del 2015 e del 2016. L'economia è in condizioni quasi di piena occupazione e questo permetterebbe ai consumi interni di compensare il calo della domanda esterna. Difficilmente dunque Berlino sentirà l'esigenza di cambiare corso di politica economica.

Il problema è che rallentare non significa per forza essere più equilibrati, come sostiene la cancelliera Merkel e come se le leggi economiche rispondessero alla virtù morale della moderazione. A maggio infatti il surplus commerciale tedesco ha continuato ad aumentare, allargando lo squilibrio con i Paesi partner. A fronte di un calo dell'export dell'1,1%, l'import tedesco è sceso addirittura del triplo, il 3,4%.
I dati del commercio non sono facili da interpretare, contenendo molte merci "in transito", ma apparentemente anche quando rallenta l'economia tedesca accumula surplus con l'estero. Il clima per i consumatori non è mai stato migliore dal 2006, eppure i consumi non aumentano. Ci sono d'altronde ragioni demografiche, sociali e culturali, che fanno prevedere che il surplus commerciale tedesco semplicemente non si ridurrà né a breve né a medio termine. I Paesi dell'euro dovranno cioè continuare a navigare sulla stessa barca con una specie di elefante ipocondriaco e competitivo, che accumula risparmio attraverso bilanci pubblici in attivo ed enormi surplus di bilancia dei pagamenti. Secondo una ricerca pubblicata a fine giugno da Sep-Luiss, il surplus tedesco con l'estero ha raggiunto nel 2013 il livello record del 7,6% del Pil, l'ottavo anno consecutivo in cui l'avanzo di parte corrente ha superato la soglia critica del 6% (condannata, ma poco sanzionata, dalla Ue). Una stima corretta per il ciclo mostra che il surplus strutturale tedesco 2013 viaggiava sopra l'8%, anche se nel 2014 dovrebbe scendere al 6%. Se non ci fosse stata la crisi dell'euro, il problema non sarebbe grave: il risparmio tedesco sarebbe reinvestito in gran parte (anche se in passato non nel migliore dei modi) nel resto dell'area euro, contribuendo a far crescere i partner. Dopo la crisi e con mercati finanziari segmentati, i comportamenti sono ovviamente cambiati. Lo scorso anno tuttavia si è visto un ritorno di investimenti diretti tedeschi nei Paesi della periferia. Per la prima volta da anni, l'area euro ha sostituito la Cina come destinazione preferita. È in corso dunque un riequilibrio? Il potenziale di investimento è di tali dimensioni che c'è ben poco di equilibrato. Estrapolando i dati attuali, nel corso dei prossimi dieci anni l'economia tedesca potrebbe investire diverse centinaia di miliardi nell'area euro, equivalenti all'intera capitalizzazione industriale di diversi Paesi. Interi settori verrebbero inglobati nella rete produttiva tedesca. Senza una maggiore integrazione europea, con la condivisione di scelte economiche e sociali, oppure con piani di investimento europei coordinati, è difficile immaginare che ciò non produrrebbe resistenze politiche importanti. Il tema degli investimenti europei è invece quello meno discusso nella triade "flessibilità, riforme e investimenti". Eppure anch'esso pone un problema di virtù morali: coesione, sostenibilità e lungimiranza.

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