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Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2014 alle ore 06:50.
L'ultima modifica è del 10 luglio 2014 alle ore 07:58.

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Draghi ha suonato l'allerta: la politica europea deve fare un salto di qualità, con regole comuni anche per le politiche strutturali, da cui dipende la produttività, condizione necessaria per riavere una duratura crescita economica nell'Unione. Altrimenti, la politica monetaria potrà fare ben poco per continuare a garantire la stabilità monetaria e finanziaria, come è riuscita a fare finora.
L'Unione europea ha un nuovo Parlamento: saprà avere una nuova politica economica? Con quali caratteristiche? Il Governatore della Banca centrale europea Mario Draghi, ricordando la figura di Tommaso Padoa-Schioppa, ha offerto una analisi del disegno delle politiche economiche che possono condurre l'Europa su uno stabile percorso di maggiore crescita economica.
Innanzitutto: è questo il compito di un banchiere centrale? Nei giorni scorsi, gli interventi del presidente della Banca centrale tedesca - proprio incentrati sulla definizione delle politiche economiche in Europa - hanno portato più d'uno a interrogarsi su quale sia il perimetro su cui deve esercitare la propria analisi e il proprio giudizio un banchiere centrale. Il nostro presidente del Consiglio Matteo Renzi ha ricordato che le banche centrali devono occuparsi di svolgere al meglio il proprio mandato, senza tracimare impropriamente in aree non di loro pertinenza.

Ma occuparsi di politica monetaria non significa che il banchiere centrale debba parlare solo di politica monetaria. Anzi. In una moderna economia di mercato l'efficacia della politica monetaria dipende dalla capacità del banchiere centrale di informare al meglio tutti gli operatori - mercati, famiglie, imprese - su quali sono le caratteristiche e i limiti della sua azione, che dipendono a loro volta dalla fisionomia del sistema economico entro cui la politica monetaria viene definita e messa in atto. Quando un governatore offre la sua analisi sui meccanismi di funzionamento dell'economia, da cui dipendono gli effetti della scelte di politica monetaria di cui si assume le responsabilità, sta agendo al meglio nell'alveo delle proprie competenze. È quello che ha fatto ieri Draghi.
Proviamo a offrire un personalissimo riassunto: l'analisi economica più consolidata ci dice che quanto più un sistema economico è efficiente, tanto più la politica monetaria sarà efficace. Un sistema economico efficiente è quello in cui c'è concorrenza sul mercato dei beni e dei servizi, flessibilità nel mercato del lavoro, innovazione nella tecnologia, efficacia dello Stato nel produrre e far rispettare le regole fondamentali a tutela della proprietà e della persona.

In un tale sistema, la politica monetaria può essere efficace nello stabilizzare il ciclo economico, avendo come suo obiettivo primario la stabilizzazione dell'inflazione. A una condizione: per essere credibile, la politica monetaria deve essere sottratta al controllo degli esecutivi politici, e affidata a una banca centrale indipendente dai governi, ma responsabilizzata con un mandato su cui render conto ai parlamenti e ai cittadini. Infatti la storia - oltre che l'analisi economica - ha ampiamente dimostrato che gli esecutivi politici hanno la sistematica tentazione a usare male la politica monetaria: stampando moneta si possono momentaneamente nascondere agli occhi degli elettori tutta una serie di squilibri macroeconomici - occupazionali, fiscali, bancari - che avrebbero andrebbero invece affrontati con altre politiche economiche, che però hanno agli occhi dei politici il brutto difetto di ridurre - anche solo momentaneamente - il consenso.

Oggi l'Unione europea è un mix affatto unico: è un sistema economico ancora molto inefficiente, con una politica monetaria ancora sufficientemente efficace, ma solo perché gestita da una banca centrale indipendente. Il sistema è inefficiente perché l'integrazione europea non ha ancora toccato in maniera compiuta e profonda tutti i settori e tutte le nazioni. Per cui l'integrazione ha dato i suoi frutti con il Mercato unico dei beni e delle persone, ha aggiunto un architrave importante con una moneta unica gestita dalla Bce, ma tutto il resto è ancora frammentato ed eterogeneo. E allora l'instabilità è dietro l'angolo: i costi dell'eterogeneità delle politiche fiscali, delle politiche bancarie, e infine delle politiche strutturali sono emersi in tutta evidenza durante la Grande crisi. L'inefficienza complessiva del sistema ha minato il funzionamento delle parti integrate: ne hanno sofferto gli scambi reali e finanziari, l'efficacia della politica monetaria, anzi la stessa esistenza dell'euro è stata nei momenti più delicati posta in discussione. La politica della Bce è riuscita a evitare l'avvitamento totale dell'Unione grazie al "whatever it takes" di Draghi.

Ma è evidentemente un equilibrio instabile: per vedere l'Unione avviata su un percorso occorre che il sistema-Unione diventi più efficiente. Più integrato, non meno integrato. In altri termini, occorre un "whatever it takes" da parte dei politici europei. Non bisogna annacquare le regole di convergenza delle politiche fiscali, ma bisogna invece introdurre criteri di convergenza anche sulle politiche strutturali. L'idea è che sistemi nazionali più efficienti sono più realizzabili con meccanismi di incentivo/controllo di natura sovranazionale. Ad esempio, una Italia più efficiente grazie a meccanismi europei - quindi un'Europa più efficiente - renderebbe il gioco a somma positiva. Altrimenti, si rimane in un equilibrio instabile, in cui l'inefficienza complessiva intossica alla fine anche le oasi di efficacia. Inclusa la politica monetaria. È un finale antipatico, ma i governatori - soprattutto quelli indipendenti - non hanno nel loro mandato - proprio perché non sono eletti - quello di essere simpatici e popolari a tutti i costi.

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