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Questo articolo è stato pubblicato il 18 luglio 2014 alle ore 08:37.
L'ultima modifica è del 18 luglio 2014 alle ore 09:02.

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La politica italiana, si sa, non è uno sport da educande. Però, per imboscate, trappole e colpi bassi, quella europea è un gioco ancora più duro: i protagonisti sono 28 Governi sovrani e tutti autentiche macchine da guerra, gli interessi conflittuali in ballo sono almeno altrettanti, la concorrenza è spietata, gli sgambetti meditati e feroci.
Forte della strabiliante vittoria alle europee di maggio, che ha fatto del suo Pd il primo dei partiti socialisti nell'emiciclo di Strasburgo, forse il premier Matteo Renzi e attuale presidente di turno dell'Unione, si illudeva di giocare sul velluto. Al vertice di ieri sera a Bruxelles contava di andare all'incasso tra i colleghi europei con la promozione di Federica Mogherini da ministro degli Esteri italiano a Mrs Pesc, cioè a ministro degli Esteri Ue.

Non è andata così. Per ore insistenze e scontri verbali al vetriolo hanno girato a vuoto. Di fronte ai disaccordi evidenti sul pacchetto delle nomine Ue, l'Europa alla fine ha ripiegato sulla solita logica del rinvio: decisione a fine agosto.
Per l'Italia una doccia fredda insieme a una lezione ruvida e inaspettata. Che forse si potevano evitare.

Le avvisaglie sullo scarso gradimento del nostro candidato, a torto o a ragione ritenuto non abbastanza esperto e troppo filo-russo, c'erano state alla vigilia del vertice, forti e chiare. Invece di approntare un piano B, una carta di riserva per provare comunque a fare subito centro, invece di fare mostra di duttilità, che è poi l'arte della politica, si è preferito inspiegabilmente fare la scelta dell'arroccamento.

Nonostante il giudizio negativo di 10-11 paesi su 28, c'è chi addirittura nel Governo ha pubblicamente minacciato a Bruxelles il ricorso al voto a maggioranza per forzare la mano ai renitenti o marginalizzarli: un modo per gettare benzina sul fuoco invece di provare a contestare e mediare su dubbi e obiezioni, come naturale per il paese che tra l'altro detiene la presidenza semestrale dell'Unione.

Certo l'Italia è spesso accusata in Italia di non fare mai la voce grossa in Europa e per questo di essere altrettanto spesso perdente. Ma i pugni sul tavolo funzionano quando le decisioni sono prese all'unanimità, quando cioè ogni paese ha un diritto di veto. Non quando si decide a maggioranza: l'inglese David Cameron l'aveva già constatato a proprie spese, al vertice del 27 giugno scorso, in occasione della nomina di Jean-Claude Juncker a presidente della Commissione nonostante il suo fermo no. Certo Renzi poteva e può vantare la santa allenza tra i 7 Governi socialisti dell'Unione, Francia di François Hollande compresa, tutti compatti sul nome della Mogherini. Evidentemente quell'alleanza non è bastata a neutralizzare la coalizione più numerosa e contraria dei paesi dell'Est e del Nord. Un passo falso non è un dramma. A patto che i 40 giorni che separano dal prossimo vertice di fine agosto siano usati per aggiustare il tiro delle ambizioni, candidati o posti che siano.

Per difendere la candidatura Mogherini , Hollande ha ricordato ai suoi critici una verità incontestabile: Mrs Pesc «non esprime la politica estera del suo paese, è una specie di portavoce dell'Unione le cui idee personali sono irrilevanti». Anche per questo viene spontaneo chiedersi se non sarebbe opportuno per l'Italia spostare obiettivo: puntare su una poltrona economica in Commissione piuttosto che su una poltronissima più di nome che di fatto. Impresa probabilmente ancora più di difficile della conquista di Mrs Pesc - anche perché la partita della spartizione dei posti migliori tra i grandi paesi è in corso da tempo - ma di sicuro più consona alla difesa degli interessi nazionali. Tanto più ora che l'Italia si prepara a perdere, con la probabile uscita di Marco Buti, la Direzione generale Ecfin, quella che stila pagelle e raccomandazioni sulle politiche economiche e di stabilità dei vari Stati membri. Energia, Commercio, Industria, Mercato unico, Ricerca e Sviluppo sono tutti portafogli dalle potenziali ricadute positive. Anche l'Immigrazione, che si dice Juncker ci assegnerebbe volentieri, potrebbe rientrare nel novero delle opzioni alternative, anche se in questo caso si tratterebbe di un "ministero" da costruire sul quasi nulla che c'è oggi, remando tra le emergenze continue e i forti venti contrari della solidarietà europea. Se da qui a fine agosto servirà a ricalibrare la sua strategia europea, tutto sommato il flop di Bruxelles si dimostrerà per Renzi la scossa che ci voleva per posizionare meglio gli interessi dell'Italia in Europa.
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