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Questo articolo è stato pubblicato il 18 luglio 2014 alle ore 08:35.
L'ultima modifica è del 18 luglio 2014 alle ore 09:03.

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Non è soltanto un tragico errore o una fatalità. Le immagini della fusoliera spezzata del Boeing malese tra Russia e Ucraina come quella dei bambini palestinesi inseguiti dai proiettili israeliani raccontano la cruda realtà dei conflitti moderni.


Nelle guerre contemporanee il 90% delle vittime è rappresentato da civili. In quasi tutti i conflitti degli ultimi 30 anni, dal Medio Oriente ai Balcani, dall'Asia all'Africa, era più facile uscire vivo indossando una divisa e impugnando un fucile: a essere massacrati erano, e sono, soprattutto gli inermi. Solo due giorni fa l'Olanda è stata condannata in tribunale per il comportamento dei suoi caschi blu che non protessero la popolazione di Srebrenica: il generale serbo Ratko Mladic massacrò più di 8mila bosniaci, il peggiore eccidio dalla seconda guerra mondiale in Europa. Ma Srebrenica, nel luglio 1995, scosse brevemente la disattenzione di una calda estate di vacanze. Questa volta la guerra nel cuore dell'Europa, con l'abbattimento del Boeing 777 con 295 persone a bordo, passa meno inosservata: il conflitto dei Balcani, a soli 500 chilometri da noi, sembrava l'eco di una lontana barbarie da attribuire a popoli bellicosi e inaffidabili, adesso, per il coinvolgimento diretto in Ucraina della Russia, dell'America e della Nato, si insinua tra gli europei l'inquietudine, l'ora degli interrogativi senza risposta, il timore dell'allargamento incontrollato di un conflitto su scala continentale.

Questo sì che ci scuote, che magnetizza l'attenzione, più dei bambini palestinesi e degli altri tre milioni di fanciulli colpiti dalle guerre africane, dal Sudan al Centrafrica, che vagano tra le rovine o al riparo dei tremolanti teli azzurri dell'Onu. Anche Wall Street, l'oracolo che misura il benessere e la stabilità, ha accusato il colpo per l'abbattimento del Boeing. I sonnambuli al potere in Europa alla vigilia della prima guerra mondiale, così ben descritti da Christopher Clark, restarono ciechi di fronte all'orrore in incubazione, noi forse ci stiamo svegliando. Il 28 giugno 1914, un secolo fa esatto, quando furono assassinati a Sarajevo l'arciduca Francesco Ferdinando e la moglie Sofia, l'Europa era in pace: 37 giorni dopo era un continente in guerra. E adesso si aggira un fantasma. Per la stragrande maggioranza sono un vago ricordo scolastico o cinematografico i 50 milioni di vittime della seconda guerra mondiale che inaugurò l'era del conflitto totale, dichiarato non solo contro gli eserciti ma contro l'economia, le infrastrutture e le popolazioni civili di intere nazioni. Il lancio delle atomiche su Hiroshima e Nagasaki significò il debutto dell'era nucleare e dell'equilibrio del terrore.

La nostra generazione è nata da quelle macerie. In Europa le vittime furono 35 milioni ma la fine di Hitler e del Nazismo non significò la nascita di una nuova era di armonia: tra il 1945 e 1947 decine di milioni di persone furono cacciate dai loro Paesi in una delle più colossali operazioni di pulizia etnica della storia. E neppure il crollo del Muro nel 1989 ha sistemato le cose, come hanno dimostrato i Balcani e ora il conflitto in Ucraina. Ucraini e filo-russi si accusano a vicenda. Ma quello che inquieta di più sono le coincidenze: la recrudescenza del conflitto ucraino, la disintegrazione del Medio Oriente dove affondano interi Stati, le nuove sanzioni imposte dall'America alla Russia. Putin e Obama si telefonano, magari tentano di spegnere le tensioni: ma hanno davvero la situazione sotto controllo? Queste telefonate ricordano un po' la famosa linea rossa tra Washington e Mosca, nella nostra immaginazione ingenua la cornetta di un improbabile telefono di bachelite che doveva essere alzata in caso di pericolo di guerra nucleare. Quando se ne parlava, prima dello sgretolamento del Muro, si tratteneva il respiro. Chissà che adesso pure i sonnambuli europei di Bruxelles, impigliati nelle loro beghe di poltrone, si siano finalmente svegliati. I fantasmi della guerra bussano alla porta, anche nell'immagine drammatica di quella fusoliera frantumata da un missile o da una raffica che ha spazzato in un attimo la vita di trecento persone.
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