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Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2014 alle ore 09:39.
L'ultima modifica è del 26 luglio 2014 alle ore 10:22.

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«Colpi di Stato» contro «colpi di sole»... Per quanto possa sembrare incredibile, la polemica quotidiana tende a scendere ancora di livello. L'ossessione di Grillo per i complotti in atto (si è perso il conto di quanti ne ha denunciati finora) è il riflesso dell'imbuto in cui il capo dei Cinque Stelle si è infilato, incapace di gestire con qualità politica la fase che il paese sta vivendo. Quindi torna di moda anche la P2, come marchio d'infamia appiccicato all'asse Renzi-Berlusconi: e pazienza se nessuno riesce a spiegare come e quando la loggia massonica avrebbe preso il sopravvento.

Certo, nemmeno la replica di Renzi brilla per originalità. Ma il presidente del Consiglio ama ingaggiarsi in scontri verbali con Grillo, riservando invece qualche ammiccamento all'elettorato del M5S. C'è una logica in questo ed è come sempre di tipo elettorale. I Cinque Stelle restano uno straordinario serbatoio dal quale l'unico in grado di attingere è proprio Renzi. Le polemiche quotidiane sono parte di un lento lavoro ai fianchi che prosegue a margine della rissa in Senato.

Del resto, quasi tutto quello che il premier fa contiene un messaggio elettorale, più o meno esplicito. Gli italiani vengono coltivati con cura, giorno dopo giorno. Il quadro economico generale è drammatico? Il presidente del Consiglio punta tutto sulla fiducia nel domani: chiede agli elettori di seguirlo, se possibile a occhi chiusi. La riforma del Senato è impantanata? La colpa è di chi dice sempre "no". E naturalmente i grillini si sono trasformati da anti-casta in difensori dei privilegi istituzionali. C'è del vero in queste frustate, ma c'è soprattutto una superiore capacità propagandistica: un talento che Renzi ha dimostrato di possedere in sommo grado. Il tutto al servizio di una strategia piuttosto semplice: riassorbire il dissenso grillino, da un lato, e stabilizzare Berlusconi, dall'altro, facendo del centrodestra un secondo polo consistente ma per nulla minaccioso sul terreno politico.

Ne deriva che il premier, un passo per volta, prepara il terreno per il successo elettorale prossimo venturo. Purtroppo per lui, i dati della realtà non lo favoriscono. La trasformazione del Senato non è ancora una battaglia vinta e in ogni caso il percorso costituzionale è lungo. La ripresa è inesistente e in autunno, con la legge di stabilità, si prevedono altri provvedimenti impopolari. In Europa il "renzismo" ha creato più che altro sconcerto e irritazione, fallendo l'obiettivo della maggiore flessibilità sui conti e forse creando qualche imbarazzo anche alla Bce di Draghi. Le altre riforme sono ancora in cantiere.

Ecco allora che quando il premier minaccia le elezioni anticipate in caso di insabbiamento della riforma del Senato, egli rivela il suo vero animo. Le elezioni sono il modo più semplice per tagliare il nodo gordiano prima che la morsa dell'economia stritoli le illusioni della propaganda. Ma le elezioni prima della fine dell'anno, in pieno semestre europeo, sono assai improbabili. Per convincere il capo dello Stato servirebbe uno "shock": magari una bocciatura esplicita della riforma, non un semplice rinvio. Senza contare che in quel caso si andrebbe a votare con la legge elettorale introdotta dalla Consulta, non certo con l'Italicum (e nemmeno con il Mattarellum evocato da Giachetti). Un'ipotesi che Renzi ha sempre visto con timore. Non solo: si dovrebbe votare per il Senato come è ora, essendo la riforma in alto mare. La minaccia dello scioglimento non è da sottovalutare, ma oggi è soprattutto uno strumento di pressione sui parlamentari.

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