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Questo articolo è stato pubblicato il 03 agosto 2014 alle ore 08:30.
L'ultima modifica è del 03 agosto 2014 alle ore 20:11.

L'Italia e le riforme è il titolo di un'opera che va in scena da decenni e della quale si vedono tanti atti e attori senza mai concludere per passare a un'altra stagione, con altre opere. Quasi sempre i governi e le legislature partono da una fitta agenda di riforme che rimangono poi, in tutto o in parte, incompiute o inefficaci perché mancano i decreti attuativi. Ai quali troppi governi non badano, quasi non fosse una loro responsabilità.
È la ragione per cui sul Sole 24 Ore «Rating 24» controlla regolarmente lo stato di attuazione delle norme: ed è la ragione per cui l'11 luglio il direttore ha invocato il coraggio della verità (l'economia va male, non si riprende) e ha chiesto al presidente Renzi di sporcarsi le mani con la fatica dei decreti e facendo le poche cose urgenti per il lavoro e la crescita, a partire dalla riforma della macchina dello Stato. Da tempo noi sosteniamo che se l'Italia è diventata nel contesto europeo un caso problematico e preoccupante (che ha oscurato alcune riforme e indebolito i nostri punti di forza produttivi) trova una spiegazione anche negli annunci senza azioni, nelle nostre discontinuità e nelle sabbie mobili delle burocrazie e dei gruppi di interesse improduttivi.
Governo, Italia e italiani. Dunque il governo Renzi deve agire attuando le riforme messe in cantiere che arrivano al 2017. Si tratta del periodo di circa mille giorni sul quale il presidente Renzi s'è impegnato a cambiare l'Italia e a contribuire anche a un rinnovamento europeo per rilanciare la crescita e l'occupazione. Naturalmente si notano tra le riforme coincidenze e prolungamenti di quelle del governo Letta che, pur nella sua brevità, ha ben operato. La vera differenza è che l'Italia ha adesso, per un concorso di fattori, una forte apertura di credito europeo (per l'esito delle elezioni in netta controtendenza rispetto al prevalente euroscetticismo), di credito renziano (per l'età e la determinazione del presidente del Consiglio) e di credito finanziario (per l'enorme liquidità internazionale in cerca di guadagni e per le promesse della Bce) come da tempo non accadeva. Tre aperture di credito che potrebbero esaurirsi presto se le riforme non vengono attuate e valorizzate nel contesto europeo e internazionale. Ciò richiederebbe anche un maggior senso di identità nazionale di cui gli italiani purtroppo difettano diversamente dai cittadini degli altri grandi Paesi europei. Anche noi dovremmo avere un senso di responsabilità nazionale senza il quale la nostra credibilità europea sarà sempre debole, ben al di là dei decimali di finanza pubblica. Probabilmente la stessa maggiore tolleranza di cui Francia e Spagna godono presso le istituzioni europee sui loro deficit di bilancio è dovuta anche all'immagine di solidità nazionale data e ai loro sistemi costituzionali ed elettorali che assicurano governi di legislatura.
L'agenda delle riforme. La sua più chiara formulazione si trova sul sito del Mef che in giugno ha pubblicato un cronoprogramma mensile per il 2014 e uno aggregato per il 2015 e il 2016 con qualche prolungamento al 2017. È una utile schematizzazione del Piano nazionale di riforme presentato dal governo alla Commissione europea in aprile.
L'agenda riguarda 48 azioni che si collocano in tre categorie: concluse, avviate, programmate. La valutazione del governo sullo stato di avanzamento delle azioni è la seguente: 2 concluse (jobs act e piano casa); 4 avviate in maggio e in taluni casi a un buon stadio (taglio cuneo fiscale e Irpef; attuazione del piano italiano della "garanzia giovani"; riforma della pubblica amministrazione; piano "open data" per la pubblica amministrazione); 2 istituzionali e costituzionali già avviate e che da settembre dovrebbero accelerare (riforma della legge elettorale; riforma costituzionale); 7 avviate tra settembre e dicembre, alcune delle quale dovrebbero raggiungere uno stadio di avanzamento soddisfacente già entro fine anno, mentre altre andranno anche in anni successivi (rientro dei capitali; strategia destinazione Italia; strategia turismo e patrimonio culturale; rispetto della direttiva Ue per i pagamenti; accelerazione pagamento debiti Pa; programma di privatizzazioni e dismissioni; spending review). In totale su 48 azioni di riforma dell'agenda, 15 sono già in attuazione mentre altre sono programmate. In realtà varie di queste ultime sono iniziate prima di questo governo che però intende accelerarle e potenziarle. Miglioramenti sono possibili e necessari ma non bisogna farli prevalere sulla esecuzione del cronoprogramma.
Spese, risparmi, efficienza. Consideriamo tra le molte azioni dell'agenda per le riforme la revisione della spesa (spending review) che è prevista iniziare nel 2014 per arrivare al 2016. Nei giorni scorsi se n'è molto parlato in relazione a preoccupazioni espresse dal commissario straordinario. Al di là del singolo episodio, che una persona seria e competente come Cottarelli non ha enfatizzato, riteniamo che il programma di revisione della spesa pubblica da lui messo a punto sia un buon programma che deve comunque continuare anche perché una sua conferma politica è già stata data dal Def di aprile inviato alla Commissione europea. La principale verifica della volontà del governo e del Parlamento di darne attuazione si avrà con la Legge di stabilità 2015, la prima del governo Renzi e del ministro dell'Economia Padoan. Perciò è importante che Cottarelli stia al suo posto fino all'approvazione della citata legge sia perché ha tuttora compiti in corso (tra cui molto atteso quello affidatogli dal dl 66 di aprile sul riordino della spesa di aziende, istituzioni e società controllate dalle amministrazioni locali, notoriamente fonte di sprechi) sia perché non bisogna sollevare ansie nella Ue, nella Uem (e sui mercati) mentre chiediamo una certa flessibilità di bilancio.
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