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Questo articolo è stato pubblicato il 13 agosto 2014 alle ore 06:50.
L'ultima modifica è del 13 agosto 2014 alle ore 07:12.

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Se la recessione pregiudica il percorso di riduzione del deficit strutturale in direzione del pareggio di bilancio, si potranno aprire spazi di contrattazione a Bruxelles per valutare, in presenza di un deficit nominale entro il 3% del Pil, se sia possibile ricorrere alle «circostanze attenuanti» che in presenza di una prolungata fase di rallentamento economico possono aprire la strada a un diverso timing di rientro dal debito.

È una partita certo ad alto rischio, quella che andrà giocata in autunno dal governo con la Commissione europea. A novembre, con l'esecutivo comunitario rinnovato, spetterà a Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan convincere i partner europei che grazie alla prossima legge di stabilità e alle riforme che nel frattempo si sarà riusciti a mettere in campo il terreno perso nel 2014 sarà in gran parte recuperato. Per farlo, e per non incorrere in una procedura d'infrazione per debito eccessivo nel 2015, la chiave di volta è rappresentata per gran parte dalla riduzione strutturale della spesa corrente. Ne consegue che la spending review dovrà assicurare i complessivi 17 miliardi necessari per stabilizzare il bonus Irpef e coprire almeno una parte degli interventi necessari per avvicinarsi all'obiettivo del «close to balance». Il tutto all'interno di una manovra di finanza pubblica che non sarà inferiore ai 20 miliardi, e che quindi dovrà prevedere anche la razionalizzazione delle «tax expenditures», realizzando al tempo stesso almeno quei 10-12 miliardi di dismissioni necessari per sostenere il percorso di rientro dal debito.

Operazione complessa, che impegnerà il governo sia dal punto di vista della tattica negoziale con Bruxelles che da quello del confronto costante con la sua maggioranza, per evitare stravolgimenti in corso d'opera della manovra, quando il complesso degli interventi predisposti dall'Economia approderà in Parlamento. L'edificio così costruito rischia però di franare se nel 2015 l'incremento reale del Pil non si attesterà almeno nei dintorni dell'1,5 per cento. Ecco perché il Governo punta a un risultato nel terzo e quarto trimestre dell'anno in grado di spingere con sufficiente velocità il pedale sull'acceleratore della ripresa già nel primo trimestre del nuovo anno. Per il 2014, stante il risultato dei primi due trimestri, l'obiettivo minimo resta quello di evitare di chiudere con il segno meno, nei dintorni dello zero dunque.

Molto dipenderà dai nuovi equilibri politici che si determineranno a Bruxelles tra la fine di agosto, quando il Consiglio straordinario dei Capi di Stato e di governo dovrà dipanare la complessa matassa delle euronomine, e novembre quando s'insedierà la nuova Commissione. Se prevalesse un indirizzo meno orientato ai rigido rispetto della disciplina di bilancio e più attento alla crescita, l'Italia potrebbe spuntare qualche margine temporale aggiuntivo. Viceversa sarebbe ben difficile evitare la scure degli ulteriori interventi chiesti dalla Commissione già nell'anno in corso per rientrare nella «regola del debito» e ridurre il deficit strutturale di almeno lo 0,5% del Pil ogni anno fino al raggiungimento del pareggio. Oltre alle circostanze attenuanti, si potrà far valere la consistenza dell'avanzo primario (tra i più alti nell'eurozona), fermo restando che la strada maestra per ridurre stabilmente il debito non può che passare attraverso robuste e visibili azioni a sostegno della domanda, sia sul fronte dei consumi che su quello degli investimenti produttivi.

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