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Questo articolo è stato pubblicato il 15 agosto 2014 alle ore 09:25.
L'ultima modifica è del 15 agosto 2014 alle ore 09:36.

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Se l'Italia, per causa propria o per condizioni europee e internazionali sfavorevoli, non ritorna sul sentiero della crescita e l'inflazione resta bassa, con un deficit di bilancio pubblico nell'ordine del 3%, continuerà a registrare un aumento del debito pubblico in assoluto e in rapporto al Pil. Date le previsioni negative, nel prossimo futuro il debito crescerà; ciò non significa che l'Italia non possa rimborsarlo, ma non è questo che deve preoccupare, quanto che la sua esistenza ostacola un'azione di politica economica adeguata alle necessità di combattere la disoccupazione e crea attriti nelle relazioni con la Ue distogliendo l'attenzione dai veri problemi di funzionamento dei Trattati.

Sulla prima conseguenza sono tutti d'accordo, mentre sulla seconda una valutazione perversa spinge a strumentalizzare la sua esistenza per indurre a fare le riforme necessarie o, peggio ancora, per fare emergere forze politiche che senza la crisi non avrebbero occasione di affermarsi. Da troppo tempo trasciniamo il problema, reagendo con aumenti di tasse e promesse di riduzione di spesa, creando incertezze e alimentando i rumors sulla nostra solvibilità. Dobbiamo uscire quanto prima da questa situazione.
L'ideale sarebbe che l'Unione Europea risolvesse una volta per tutte il problema associando alla realizzazione del pareggio di bilancio (conosciuto come accordo di fiscal compact) la sistemazione del debito in eccesso al 60% del Pil. Ciò richiederebbe due provvedimenti: l'attuazione di un'operazione strutturale una tantum sulla spesa pubblica unita all'impegno da prendere in sede europea di non riprodurre le condizioni preesistenti (per l'Italia l'operazione sarebbe nell'ordine dei 45 mld di euro, 3% dell'attuale deficit di bilancio misurato sul Pil); la concessione di una garanzia europea per il debito in eccesso del 60% da concedere a seguito della presentazione di un piano di rimborso con oneri interamente a carico del paese che lo richiederà, asseverato dall'assistenza finanziaria della Bce come prestatore di ultima istanza se dovesse esserci un attacco speculativo. Come accaduto per l'euro, il piano sarebbe sufficiente ad annullare gli spread attualmente esistenti e richiedere un minore intervento della Bce e dei paesi membri perché la speculazione non agisce se gli impegni sono credibili.

Se la Ue e la Bce non vorranno farlo - e sarebbe non solo un grave errore per l'attuale gruppo dirigente, ma anche la conferma della mancata volontà di essere un'Europa unita coerente con gli obiettivi dei Trattati - può farlo benissimo l'Italia con le sue sole forze e una buona alleanza con centri importanti di finanza internazionale. Il debito pubblico in eccesso al PIL del 60% è pari a circa 1.100 mld di euro circa. Lo Stato può offrire due garanzie: quella di ridurre la spesa pubblica di 45 mld di euro al fine di azzerare strutturalmente il deficit di bilancio e quella di portare a garanzia del rimborso il patrimonio pubblico, vincolandolo in un fondo i cui asset sarebbero alienabili solo a questi fine e non usati per coprire spese contingenti (la tentazione è forte!). A latere si potrebbe anche creare una società o assegnare a una istituzione esistente (come la Cassa depositi e prestiti) il compito di gestire razionalmente questo patrimonio per migliorare il suo rendimento e il valore di mercato.

Questa operazione sarebbe fattibile senza ristrutturazioni del debito in essere. Tuttavia - come più volte indicato con i colleghi Michele Fratianni e Antonio Rinaldi - per liberare la politica economica dall'assillo della gestione del debito pubblico e delle pressioni europee in materia, è possibile attuare su basi volontarie un allungamento delle scadenze del debito e una rinegoziazione degli interessi riconosciuti in misura tale da ottenere anche un beneficio che renda meno incisiva la riduzione strutturale della spesa oppure che venga utilizzato per iniziative mirate alla crescita del reddito e dell'occupazione. Il nostro suggerimento, da sottoporre alla verifica di mercato di società primarie, è stabilire (a) una scadenza che lasci all'esecutivo il tempo necessario per imprimere un'inversione di tendenza all'economia italiana, (b) una cedola netta da tasse pari all'inflazione per garantire la stabilità del potere di acquisto dei risparmi investiti, (c) un premio pari al 20% del saggio di crescita reale conseguito con il rilancio della politica di sviluppo e (d) un diritto prioritario di acquisto (warrant) del patrimonio pubblico eventualmente dismesso, cedibile a terzi o utilizzabile per versare il corrispettivo in titoli di Stato. Sono tutte clausole tecniche non difficili da esplicitare in un comprensibile prospetto finanziario. Spiegando bene ai sottoscrittori i vantaggi personali e quelli che ne deriverebbero al Paese, riteniamo che, come sempre accaduto, gli italiani saprebbero accogliere favorevolmente l'operazione.

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