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Questo articolo è stato pubblicato il 06 settembre 2014 alle ore 09:15.
L'ultima modifica è del 06 settembre 2014 alle ore 10:05.

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Il momento è stato davvero storico: il presidente ucraino Petro Poroshenko guarda l'orologio e dice: «Ho ordinato un cessate il fuoco entro mezz'ora».
In quel momento si è capito che a partire da domani il vero nemico della Nato non sarà la Russia, ma l'Isis. In quel momento si è capito che la "strategia" di Barack Obama in realtà c'era e ha funzionato.
Dopo gli sviluppi di Minsk, c'è davvero da augurarsi che uno dei due "nemici" con cui la Nato si confrontava all'inizio di questo vertice, la Russia, possa condividere il messaggio di fondo emerso dal summit: la convivenza è meglio dei confronti nazionalistici; il perseguimento di interscambi commerciali ed economici è meglio di una paralisi imposta dalle sanzioni. Da ogni parte, anche dal presidente americano, sono giunti ieri messaggi conciliatori nei confronti di Mosca.

Ora è giunto il momento, nello stesso interesse della sua nazione, che Vladimir Putin questi messaggi li raccolga. Il tempo delle "paranoie" delle "paure di un assedio da parte della Nato" è finito. Che si apra una fase nuova, di riparazione del danno fatto; di recupero di un dialogo trasparente. Attenzione però, perché le pressioni della Nato su Mosca, la retorica aggressiva del segretario Rasmussen, le sanzioni di Europa e Stati Uniti non vanno sottovalutate.
«Trust but verify» diceva Ronald Reagan di Mosca: «Fidati ma verifica». È questo che si farà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane. Con l'auspicio, come ci ha detto ieri anche il premier Matteo Renzi, che queste ultime sanzioni non «debbano mai partire» e che le vecchie, come ha detto Obama, «potranno essere revocate».

Non possiamo dubitare della buona fede di Obama. L'America non ha alcun interesse nel continuare questa crisi. Ieri si è avuto in America un dato sull'occupazione per la prima volta deludente dopo molti mesi. Nessuno si può permettere di disperdere energie e risorse per combattere battaglie che guardano indietro, tanto meno Mosca, che ha bisogno dell'Occidente per tradurre in crescita economica sostenibile i suoi straordinari introiti energetici. Che non ci sia confusione dunque. Quando la Georgia chiede di partecipare a nuove esercitazioni con la Nato non lo fa in risposta a un disegno, a un "complotto antirusso" organizzato a tavolino dai leader occidentali.

Che l'apertura prevalga sulla chisura. Vladimir Putin, per qualche ragione che sfugge persino a una esperta come Angela Merkel (lo ha ammesso ieri sera in una conferenza stampa con i giornalisti tedeschi), ha scelto già qualche anno fa la strada del confronto con Usa e Occidente invece della cooperazione. Si è accorto che questo gli serviva anche per mobilitare la sua opinione pubblica. Una politica che ci ha portato alla crisi ucraina. Putin non poteva non sapere che le risposte dell'Occidente sarebbero state durissime. Né può non sapere che continueranno ad esserlo se non si rispetteranno i 12 punti previsti dal cessate il fuoco di ieri. La Nato a Newport, anche grazie agli eccessi di Mosca si è rafforzata: ha ottenuto l'aumento al 2% del Pil per le spese militari e ha impostato nuove missioni. Nel caso dell'Isis la via obbligata è aggredire e distruggere. Ma nel caso della Russia è fondamentale ricostruire un rapporto che potrà contribuire alla stabilita dell'ordine mondiale.

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