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Questo articolo è stato pubblicato il 11 settembre 2014 alle ore 06:35.
L'ultima modifica è del 11 settembre 2014 alle ore 08:22.

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La Francia annuncia che quest'anno il suo deficit, in costante lievitazione, chiuderà al 4,4% e che, complice la recessione, rinvierà il raggiungimento dell'obiettivo del 3% al 2017, cioè si prenderà altri due anni dopo averne già incassati (invano) due.

Nelle stesse ore a Bruxelles il suo ex-ministro delle Finanze, Pierre Moscovici, ottiene gli agognati Affari economico-finanziari, con competenza allargata a Fisco e Dogane, nella nuova Commissione di Jean-Claude Juncker. In breve, avrà la poltrona da cui giudicare, assolvere o punire Parigi e la sua indisciplina ai Patti di stabilità.

Rivoluzione in salsa lussemburghese con premi di flessibilità delle regole Ue per chi se li prende in barba agli impegni sottoscritti, con un occhio di riguardo per i ribelli conclamati come anche la Gran Bretagna di David Cameron, che vede assegnare a Lord Hill nientemeno che Servizi finanziari e mercato dei capitali, banche e finanza, l'arcinoto oggetto di un suo sperticato desiderio? No. Piuttosto un abile gioco degli specchi denso di sottile perfidia.

«Chi conosce meglio quei problemi viene da quei paesi. Moscovici è dunque ben attrezzato per risolvere il deficit francese e Hill potrà far capire meglio agli inglesi le posizioni di Bruxelles» ha spiegato soave Juncker. Non a caso distribuendo a entrambi (ma non solo) regali avvelenati. La sua Commissione cambia infatti struttura e modo di lavorare: si muoverà per squadre, sette, modellate sulle grandi priorità del programma quinquennale. Tra queste una per euro e dialogo sociale sotto la guida dell'ex- premier lettone Valdis Dombrovskis e un'altra per crescita, lavoro, investimenti e competitività coordinata dall'ex-premier finlandese Jyrki Katainen.

Ambedue vantano una solida reputazione di falchi del rigore ma ad ambedue dovranno sempre far capo Moscovici e Hill per qualsiasi iniziativa decidessero di prendere e far approvare dall'intero collegio. Nel coordinamento obbligato dentro ai team chiamati a trattare e risolvere questioni complesse sta la maggiore innovazione annunciata ieri. Ma qui allignano anche i maggiori rischi di corti circuiti, confusione, rivalità e sovrapposizioni di competenze che potrebbero rallentare o paralizzare l'azione del nuovo Esecutivo. «Si rivede la piramide feudale, il re, 7 baroni, vassalli, valvassini e valvassori» ironizzava ieri qualcuno a Bruxelles. La novità ha una logica.

Bisognerà però vederla all'opera prima di esaltarla o condannarla. Di sicuro, al contrario di quella di José Barroso, decisamente accentratrice, la Commissione Juncker si vuole più politica e decentralizzata: il presidente non solo distribuisce deleghe ai suoi 7 vice, compresa Federica Mogherini agli Affari Esteri, ma tra questi promuove l'attuale ministro degli Esteri olandese Frans Timmermans a suo braccio destro. La sua impronta sul prossimo quinquennio sarà quella dello sviluppo economico nel segno del rigore e delle riforme, del rifiuto delle tentazioni protezionistiche in favore dei mercati aperti: non si capirebbero altrimenti la posizione del tandem Dombrovskis-Katainen né l'assegnazione a due liberali scandinave, la svedese Cecilia Malstrom e la danese Margrethe Vestager, dei potenti "ministeri" del Commercio e della Concorrenza. Ai popolari Mercato Interno e Industria con la polacca Bienkowska.

Società e Economia digitale per il tedesco Gunther Oettinger. Clima e Energia allo spagnolo Miguel Canete. Con questa formazione ai nastri di partenza e i socialisti in posti meno influenti o sotto tutela, tutto lascia pensare che i prossimi cinque anni non vedranno svolte epocali nelle politiche attuali di riforme e rigore, né massicci investimenti europei per carburare la crescita. Con buona pace del piano Juncker da 300 miliardi in tre anni. Nonostante i morsi di recessione e deflazione. Per Francia e Italia, dunque, le riforme non solo non hanno alternative ma vanno attuate perché sono l'unica strada da percorrere per sperare di beneficiare di un po' di flessibilità oggi in attesa di una crescita un po' robusta dopodomani. Prima o poi anche Parigi si arrenderà all'evidenza. Dopo aver puntato tutto e ottenuto gli Esteri, a Roma si è capito che sarebbe pericoloso privarsi di un'antenna nelle stanze economiche di Bruxelles dove si confezionano pagelle e raccomandazioni, più o meno benevole, per gli Stati membri e si sbozzano le politiche comuni. Mogherini quindi si trasferisce nel palazzo della Commissione europea.

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