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Questo articolo è stato pubblicato il 05 ottobre 2014 alle ore 14:01.
L'ultima modifica è del 05 ottobre 2014 alle ore 15:39.

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Se per ipotesi si votasse domani, i sondaggi prevedono che Forza Italia si collocherebbe fra il 15 e il 16 per cento, un risultato parecchio inferiore a quello delle elezioni europee. Il partito di Grillo, pure in crisi, otterrebbe intorno al 20 per cento, forse qualcosa di più, mentre in cima alla montagna, inattaccabile, resta il Pd di Renzi.

Tutto questo immaginando di andare a votare con il cosiddetto "Italicum" nella versione originale o quasi, quella a cui tendono con insistenza sia Renzi sia Berlusconi (ma sappiamo che il Parlamento deve ancora pronunciarsi).
Le previsioni elettorali aiutano a capire l'inquietudine in cui si agita il partito berlusconiano. Non sono rilevanti i litigi interni e le urla contro i dissidenti del momento, in questo caso Fitto e Capezzone. È un copione già noto che si conclude sempre – e non potrebbe essere altrimenti – con la piena vittoria del leader storico, l'uomo che paga i conti e garantisce i debiti del partito «con le mie fideiussioni»: come egli stesso tiene a precisare. In definitiva Forza Italia è sempre più "Forza Silvio" e non c'è bisogno di cambiare il nome del movimento o di smentire le indiscrezioni che parlano di una forte tentazione al riguardo. Nei fatti la trasformazione si sta già compiendo, benché il prezzo sul piano elettorale si prospetti tutt'altro che irrilevante.
Basterebbe questo per comprendere come la destra oggi sia all'anno zero. Mancano le idee liberali e un'adeguata organizzazione, manca del tutto la capacità o la volontà di andare "oltre" Berlusconi. Esiste solo il famoso "patto del Nazareno", il cui punto-chiave, forse l'unico davvero significativo, riguarda appunto la riforma elettorale, l'Italicum. Tale riforma dovrebbe garantire a Berlusconi e alla cerchia di potere intorno a lui un onorevole secondo posto, utile a perpetuare anche nella prossima legislatura l'accordo di buon vicinato con il centrosinistra "renziano". Il problema è che a questo punto niente e nessuno, nemmeno l'Italicum blindato, garantisce che tale secondo posto verrà raggiunto da Forza Italia-Forza Silvio e dai suoi pochi alleati.

Oggi al secondo posto c'è Grillo, non Berlusconi. Anzi, si direbbe che è molto difficile per la destra recuperare quei cinque punti minimo che le permetterebbero il sorpasso sui Cinque Stelle. Nemmeno l'innesto dei centristi di Alfano basterebbe allo scopo e si dovrebbe andare alla ricerca della Lega. Ma è passato il tempo in cui Berlusconi riusciva a legare insieme, sia pure alla bell'e meglio, segmenti diversi e talvolta opposti dell'universo politico. Ormai la realtà è un'altra: Forza Italia sembra ancora una volta sull'orlo della disintegrazione e forse nemmeno una discutibile riforma elettorale basterebbe a rincollare i cocci. Un punto è certo: arrivare, in caso di elezioni, al terzo posto segnerebbe per Berlusconi la fine di un'epoca. E metterebbe in moto un processo politico i cui esiti non sono facilmente prevedibili.
Renzi dichiara da tempo – lo ha ripetuto anche oggi – che il patto con il capo della destra è obbligato a causa dei «milioni di voti» che questi raccoglie. Ma cosa accadrebbe se si dimostrasse che non è più così? La destabilizzazione potrebbe travolgere tutti gli schemi. Ecco perché è interessante seguire il dibattito interno a Forza Italia. La linea berlusconiana è carica di contraddizioni che stanno ormai venendo al pettine.

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