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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2014 alle ore 09:36.
L'ultima modifica è del 10 ottobre 2014 alle ore 07:59.

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La battaglia per il superamento dell'articolo 18 ha forti analogie con una storia avvenuta negli Usa nella prima metà degli anni Novanta. Il partito democratico, che aveva guidato quel Paese dagli anni Trenta e in particolare dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, era entrato in una crisi profonda nel corso degli anni Ottanta.

Pur mantenendo il controllo del Congresso, il partito di Kennedy e di Johnson era divenuto sempre meno competitivo sul piano delle elezioni presidenziali. Nonostante il controllo di alcune roccaforti elettorali negli Stati e nelle municipalità, il partito democratico aveva perso il suo carattere di partito nazionale. Il trionfo del repubblicano Ronald Reagan nelle elezioni presidenziali del 1980 e la sua conferma in quelle del 1984 rappresentarono la dimostrazione inequivocabile della fine dell'era democratica.

Un'era finita per una ragione precisa: il partito democratico era diventato il portavoce di una serie di gruppi di interesse particolari, ognuno preoccupato di difendere le posizioni acquisite nella fase precedente di sviluppo economico e politico del Paese. I leader democratici che si susseguirono negli anni Ottanta erano infatti l'espressione dei gruppi di interesse più forti del partito (come il sindacato dei dipendenti pubblici o delle imprese pesanti). Quei gruppi controllavano mezzi finanziari e organizzativi con cui sostenere le campagne elettorali dei membri del Congresso a loro vicini. Tuttavia, se ciò era sufficiente per essere eletti in un distretto elettorale, non bastava certamente per vincere le elezioni presidenziali. Tant'è che i vari candidati presidenziali emersi in quel contesto (si pensi a Walter Mondale e a Michael Dukakis) furono clamorosamente sconfitti in elezioni nazionali.

Prendendo atto delle batoste ricevute nel corso degli anni Ottanta, si affermò all'interno del partito democratico una nuova leadership politica, formatasi nel governatorato degli Stati, di cui Bill Clinton ne fu l'espressione più compiuta. Divenuto fortunosamente presidente nelle elezioni del novembre 1992, Clinton si trovò subito ad affrontare l'opposizione dei gruppi di interesse del suo partito che avevano mantenuto il controllo del Congresso. Lo scontro tra le due concezioni del partito democratico (quello di portavoce dei gruppi di interesse sostenuto dai leader congressuali e quello di partito nazionale sostenuto dal presidente) esplose il 17 novembre del 1993, pochi mesi dopo l'entrata di Clinton alla Casa Bianca. La causa dello scontro riguardò l'approvazione legislativa dell'accordo siglato l'anno precedente, tra Stati Uniti, Canada e Messico, per l'istituzione del North American Free Trade Agreement (Nafta).

L'opposizione dei leader democratici del Congresso all'accordo fu furiosa. Sostenuti dalle varie organizzazioni di interesse, quei leader sostennero che l'accordo avrebbe messo in discussione i posti di lavoro degli operai americani, indebolito il potere dei sindacati, delocalizzato le attività industriali. Al contrario, Clinton sostenne l'accordo in quanto forniva vantaggi sistemici al Paese, creando un'area economica integrata che avrebbe reso più competitivo il mercato del lavoro, oltre a stabilizzare i rapporti tra gli Stati Uniti e il Messico in particolare. Non diversamente dalla battaglia parlamentare sul nostro articolo 18, lo scontro alla Camera dei rappresentanti (controllata dai democratici) tra il presidente e una parte del suo partito fu durissimo. Alla fine l'accordo fu approvato di stretta misura (234 contro 200) attraverso un'alleanza trasversale tra settori del partito democratico e settori del partito repubblicano.

Quella vicenda fu cruciale sia per gli Stati Uniti che per Clinton. Il Nafta si è rivelato un successo economico e politico, consentendo agli Stati Uniti di beneficiare di un mercato più ampio, proprio mentre l'Europa si stava avviando verso un'integrazione più stretta con il Trattato di Maastricht del 1992. Allo stesso tempo, il Nafta ha aiutato il Messico a svilupparsi economicamente, riducendo quindi le pressioni dell'emigrazione clandestina e consolidando la sua fragile democrazia. Il Nafta, poi, consentì a Clinton di ridimensionare il peso dei gruppi di interesse particolaristici del suo partito, creando le condizioni per ricostruirlo come partito nazionale. Tant'è che Clinton riuscì a vincere le elezioni presidenziali successive, nonostante fosse sottoposto ad un attacco senza precedenti da parte dei repubblicani, che portò al suo mancato impeachment nel 1999. Clinton capì che i tradizionali schieramenti non funzionavano più e che il partito democratico doveva liberarsi dai vincoli dei suoi particolarismi per ritornare ad essere un partito elettoralmente vincente.

La battaglia sul superamento dell'articolo 18 ricorda molto quella sull'approvazione del Nafta. Come nel Congresso, anche nel nostro Parlamento i rappresentanti dei gruppi di interesse particolari oppongono una resistenza all'apertura del mercato del lavoro. Come negli Stati Uniti, i loro rappresentanti hanno l'idea di un partito democratico inteso come coalizione di gruppi particolaristici e non già come un partito nazionale. L'esito della battaglia sull'articolo 18 è destinato a stabilire la natura aperta o chiusa del nostro sistema economico, ma anche la natura particolaristica o nazionale del partito democratico. Ci sono sfide che i leader, per essere riconosciuti come tali, debbono affrontare e vincere. Clinton le affrontò e ancora oggi è un riferimento indispensabile per il suo partito e per il suo Paese. Una simile sfida attende il premier Renzi.

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