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Questo articolo è stato pubblicato il 17 ottobre 2014 alle ore 12:36.
L'ultima modifica è del 17 ottobre 2014 alle ore 07:28.

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Non è necessario trovare la causa fondamentale del nervosismo che agita i mercati in questi giorni: può essere la crisi greca, l'abbandono della politica monetaria ultra-espansiva della Fed, lo spettro della deflazione in Europa, i prossimi test sulle banche europee. O anche le cavallette, come avrebbe detto John Belushi. La verità è che negli ultimi tempi i mercati azionari e obbligazionari di tutto il mondo hanno corso spensierati, anticipando una ripresa economica e una stabilizzazione finanziaria in Europa che sono ben al di là da venire.

Il più recente rapporto sulla stabilità finanziaria Fmi contiene un grafico intitolato: «I mercati finanziari sono effervescenti, nonostante le delusioni economiche», che contrappone gli elevati tassi di rendimento registrati da tutte le principali classi di attività americane ed europee nell'ultimo anno ai segnali negativi provenienti dal Giappone, dalla Cina, dal l'area dell'euro. E ribadiva che nel mercato obbligazionario, i tassi erano ai minimi storici e i premi per il rischio «inusitatamente bassi». Ma c'è di più: questa condizione, già di per sé preoccupante, valeva per tutti i principali mercati mondiali e dunque un processo di correzione, come quello in atto, finisce per non escludere nessun comparto.

Quello che sta avvenendo è dunque tutto fuorché una sorpresa ed è l'ultimo tassello che prova il grave scollamento in atto ormai da tempo tra la finanza e l'economia reale. Se si preferisce, è la conferma che l'unica risposta finora è venuta dalle banche centrali, che hanno pompato dosi massicce e inusitate di liquidità, facendo correre allegramente i mercati.

Gli investimenti e la produzione, nel frattempo, hanno continuato a ristagnare. Come affermava Martin Wolf qualche giorno fa sul Financial Times, l'economia mondiale sembra aver bisogno di qualche bolla finanziaria da qualche parte del mondo per generare una domanda globale che, ancorché anemica, consenta di assorbire l'offerta potenziale.
Forse questo non è lo scoppio della bolla, ma solo una significativa correzione: è comunque evidente che contrastarla chiedendo un ulteriore sforzo alle sole banche centrali porterebbe quasi certamente ad aumentare il grado di surriscaldamento di mercati già sottoposti a dosi massicce di steroidi.

Le principali economie, a cominciare da quelle europee hanno bisogno anche e soprattutto di grandi politiche per lo sviluppo e per gli investimenti pubblici e privati. Non a caso il World Economic Outlook (dello stesso Fmi) sollecita vasti programmi di infrastrutture per uscire dalla Grande Recessione in corso come si uscì dalla Grande Depressione degli anni Trenta. Non si vive di sola moneta.

Ma il problema vero è riportare la finanza al suo ruolo di infrastruttura al servizio dell'economia, mentre oggi sembra diventata una sorta di Moloch che nella sua ansia di rendimenti di breve periodo alimenta eccessi e brusche correzioni, con effetti devastanti sulla produzione e sugli investimenti. E non si tratta di contrapporre le cattive banche alle buone imprese. Anche in quest'ultimo settore la finanza prevale sulla realtà produttiva. In tutti i paesi europei, il settore delle imprese fornisce risorse nette al resto dell'economia perché il risparmio è superiore agli investimenti. Oppure le imprese investono in attività finanziarie anziché in impianti produttivi, tanto che molte hanno proventi finanziari superiori agli oneri finanziari. Nel mondo, le grandi imprese si stanno indebolendo patrimonialmente restituendo agli azionisti (sotto forma di dividendi e buy-backs) molte più risorse di quante ne raccolgano sul mercato. E' un enorme sacrificio al mito dello shareholder value, ma in un'ottica estremamente miope e non a caso accolta con entusiasmo dai grandi sacerdoti della finanza pura come Carl Icahn.

L'alluvione di riforme caduto sul sistema finanziario mondiale qualche volta ha colmato le più gravi lacune colpevolmente ignorate in passato e spesso è servito solo a placare la cattiva coscienza dei politici e dei regolatori. Ma per ripristinare il corretto rapporto tra finanza ed economia reale occorrono interventiche riportino gli incentivi di banche, mercati e imprese verso gli orizzonti di lungo periodo. Abbiamo ormai accumulato una lunga esperienza di crisi creditizie e sappiamo che la ricetta è fatta di ingredienti semplici ma che devono essere applicati contemporaneamente in modo deciso: accertamento delle perdite, cioè del debito eccessivo; rafforzamento delle banche; misure strutturali di sostegno degli investimenti pubblici e privati, integrate (ma mai sostituite) da politiche monetarie accomodanti. Solo in questo modo è possibile generare nel futuro le risorse necessarie per rendere sostenibili i debiti accumulati in passato.

E' una lezione apparentemente semplice che oggi viene sostenuta con decisione crescente da una vasta corrente di pensiero economico e da importanti studi monografici come il libro del sito Voxeu.org sulla Grande Recessione e il Geneva Report (curato fra gli altri da Lucrezia Reichlin) sul modesto riassorbimento degli eccessi di debito. Più che ossessionata dall'ansia di "mettere la casa in ordine" con politiche di austerità, l'Europa dovrebbe essere la prima a cercare di rimettere il genio della finanza nella lampada in cui si ostina a non rientrare.

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