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Questo articolo è stato pubblicato il 21 ottobre 2014 alle ore 07:08.
L'ultima modifica è del 21 ottobre 2014 alle ore 08:18.

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Come Guido da Montefeltro, che chiese una preventiva assoluzione dal "peccato onde mo' cader deggio" (Inferno, 27), Otmar Emminger, presidente Bundesbank, chiese al governo l'autorizzazione a violare il trattato che stava per firmare.

Era il 1978, il negoziato sul Sistema monetario europeo (Sme), si avviava a conclusione. L'accordo prevedeva un obbligo simmetrico d'intervento per i Paesi per riportare in equilibrio i conti con l'estero (e quindi il tasso di cambio): i Paesi in disavanzo si impegnavano a quella che oggi chiamiamo "austerità", quelli in surplus ad adottare politiche espansive e all'acquisto delle valute più deboli per sostenerne i corsi. Questa indispensabile simmetria di comportamenti era inaccettabile per la Banca centrale tedesca: ogni politica che potesse minacciare la stabilità dei prezzi era vista come peccato di debolezza ispirato dal demonio. Il governo del cancelliere Schmidt accettò segretamente la riserva mentale della Bundesbank, assolvendola in anticipo da futuri peccati in violazione degli accordi Sme. Il peccato fu commesso nel 1992 con il rifiuto della Bundesbank di acquistare lire. Fu la fine del sistema monetario europeo.
Ogni accordo di cambi fissi si regge sulla cooperazione, sul coordinamento delle politiche economiche, sulla simmetria degli obblighi nel riequilibrio dei conti con l'estero. Sme, Bretton Woods, gold standard finirono quando la cooperazione venne meno. La Grande Crisi degli anni Trenta sarebbe stata assai meno tragica se i principali Paesi avessero cooperato coordinando politiche espansive.

Il gioco di allora riflette, come in uno specchio, quello di oggi. Nel 1929 la Francia aveva alle spalle, come la Germania del 2008, anni di buona crescita. Nella crisi che seguì, la disoccupazione si era concentrata in gran parte tra gli immigrati risparmiando i francesi. Non vi furono dunque pressioni politiche per rispondere energicamente alla crisi. In Germania, come nella Francia e nell'Italia di oggi, la fragilità degli equilibri sociali di Weimar aveva sconsigliato di intraprendere le indispensabili politiche strutturali. La crisi fu, dunque, particolarmente dura. I destini di Francia e Germania si incrociarono, come si incrociano oggi a parti invertite. Nel momento più duro Parigi negò a Berlino un prestito vitale. Convinta di cavarsela da sola, Parigi non attuò un'espansione monetaria e fiscale, consentita dai suoi conti pubblici e dalle riserve valutarie. Avrebbe aiutato l'economia francese, che rimase debole per tutti gli anni Trenta, e sostenuto quella della Germania con la domanda per le sue esportazioni tedesche. Mancò insomma quel coordinamento delle politiche economiche, che pure era implicito nelle regole del gold standard, condannando l'Europa a basso sviluppo e disoccupazione. Solo nel 1936 il governo socialista di Blum allargò i cordoni del fisco e della moneta: troppo tardi e troppo poco.

L'Unione monetaria europea è più di un accordo di cambio irrevocabilmente fisso. È dotata di organi che formulano regole comuni e ne sanzionano l'inosservanza. Contrariamente ai sistemi storici di cambio fisso, ha una banca centrale capace di creare, come sta facendo, le condizioni per la cooperazione. Ma anche le migliori istituzioni, e quelle europee sono ancora incomplete, non possono funzionare senza una convinta adesione politica. Francia e Italia si trovano nella situazione in cui si trovava la Germania del 1931. Malgrado l'esistenza di un'architettura comunitaria che prevede simmetria (coordinamento) nella politiche di aggiustamento e nonostante il rallentamento dell'economia tedesca, il vice cancelliere Sigmar Gabriel riecheggia Laval, primo ministro francese nel 1931, affermando che non esistono motivi per cambiare la politica economica del suo Paese. I socialdemocratici in maggioranza concordano. Francia e Italia si accingono a propria volta a non rispettare gli impegni sottoscritti in tema di bilancio pubblico. La situazione è bloccata in un dialogo tra sordi che la storia ben conosce e portò alla tragedia degli anni Trenta. Entrambe le parti hanno buone ragioni da addurre, purtroppo presentate in modo unilaterale ai propri elettorati, criminalizzando a uso interno l'altro (lo straniero) come causa di ogni male. L'uscita dallo stallo può avvenire solo rilanciando il progetto europeo, dal bilancio comunitario alla politica estera e di difesa. Nell'attesa che si affaccino leader dotati di visione e capacità di realizzarla, possiamo solo contare, e non è poco, sulla storia europea dei piccoli passi, dello smussamento degli angoli, della consapevolezza che per quanto la situazione attuale sia insoddisfacente, l'alternativa è semplicemente inconcepibile. A questo, almeno a questo, bisogna che tutti lavoriamo con pazienza e intelligenza.

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