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Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2014 alle ore 07:06.
L'ultima modifica è del 29 ottobre 2014 alle ore 07:18.

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(Ap)(Ap)

Alla fine la giornata è passata e le tensioni si sono sciolte. Poteva andare molto male dal punto di vista della tenuta istituzionale, ma al dunque il bandolo della matassa non è sfuggito di mano. Napolitano, per quel che si è saputo, ha risposto in modo esauriente ai quesiti, fingendo di ignorare il carattere alquanto pretestuoso dell'interrogatorio al Quirinale, quasi uno "show" mediatico volto a risollevare le sorti di un processo, quello di Palermo, il cui impianto accusatorio sembra zoppicante. Sarà un caso, ma la parola fatidica («trattativa») pare non sia mai stata pronunciata nella Sala del Bronzino. Come se nemmeno i magistrati fossero pienamente convinti di come si sono svolti i fatti vent'anni fa.

Anche la Corte ha svolto la sua parte, evitando speculazioni e in particolare il rischio che la testimonianza del presidente diventasse occasione per qualche strumentalizzazione a favore di telecamere. Queste ultime sono rimaste spente anche o soprattutto per contenere le tentazioni degli uomini di legge presenti all'udienza, peraltro parecchio affollata.
Certo, la deposizione presidenziale, sullo sfondo di un tema controverso e confuso come la relazione inammissibile fra Stato e mafia, rappresentava senza dubbio un punto critico nella nostra storia costituzionale. Ma Napolitano ne è uscito bene e con lui la solidità di quell'organo fondamentale nell'assetto dei poteri che è il Quirinale. E che tale resta anche nell'era di Renzi, un accentratore di classe tendente a ricondurre tutto a Palazzo Chigi, un passo alla volta.

Quanto poi l'assembramento di ieri sul colle sia stato utile per chiarire fatti remoti, lo vedremo più avanti. È opportuna la sollecitazione del capo dello Stato affinché le bobine registrate siano trascritte in fretta, in modo da metterle a disposizione delle parti e quindi dell'opinione pubblica. È di gran lunga meglio dissipare anche solo il sospetto che ci sia qualcosa di torbido nascosto nei palazzo romani. Tuttavia l'impressione finale è che della testimonianza di Napolitano si potesse fare tranquillamente a meno.
In fondo, chi l'ha voluta con determinazione puntava a mettere il presidente della Repubblica sul banco degli imputati, quanto meno in modo virtuale, così da innescare la miccia di una crisi drammatica. Una volta fallita l'operazione, sia per la serenità d'animo del testimone sia per la gestione dell'udienza, la deposizione in sé ha perso significato.

Da quel che si capisce, nulla di nuovo è emerso che già non si sapesse: compresa l'atmosfera cupa in cui maturarono le stragi di mafia del '92-'93, gli allarmi per la sicurezza e gli interventi da Roma per alleggerire il 41-bis, cioè il regime carcerario a cui erano sottoposti i mafiosi detenuti.
Vedremo ora che piega prenderà il processo di Palermo, una volta che i fuochi artificiali non sono stati sparati dal Quirinale perché le polveri si sono rivelate bagnate. Non ci sarebbe da meravigliarsi se piano piano i riflettori si spegnessero e il teorema venisse smontato un pezzo alla volta, come un'impalcatura rimossa alla fine del lavoro.

Ieri sera solo un paio di esponenti dei Cinque Stelle lanciavano improperi contro Napolitano, accusandolo di avere «infangato le istituzioni». Il resto del mondo politico ha tirato un ovvio sospiro di sollievo. E si capisce: l'indebolimento della presidenza della Repubblica come conseguenza di un atto di forza da parte della magistratura non conviene quasi a nessuno.
Altro discorso sarà nel prossimo futuro la scelta del successore dell'attuale capo dello Stato. Napolitano, come è noto, non fa mistero della sua intenzione di lasciare all'inizio del 2015. Se sarà così, il Parlamento – questo Parlamento – dovrà eleggere una personalità il cui identikit non è ancora chiaro. A Renzi non dispiacerebbe una figura più sbiadita, sul modello del presidente federale tedesco. Tuttavia la funzione di garanzia attiva, diciamo così, svolta in questi anni dal Quirinale sembra a molti un fattore decisivo di equilibrio che è pericoloso abbandonare da un giorno all'altro. Il dilemma non sarà di facile soluzione.

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