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Questo articolo è stato pubblicato il 01 novembre 2014 alle ore 09:49.
L'ultima modifica è del 01 novembre 2014 alle ore 09:49.
La Giornata del risparmio arriva qualche giorno dopo il primo esercizio di valutazione operato dalla Banca centrale europea (Bce) sui bilanci bancari e qualche giorno prima l'avvio ufficiale della supervisione unica, che avrà a capo proprio la Bce. È il momento giusto per chiedersi: quale modello di banca vuole l'Unione? Ed è il modello di banca che serve a una crescita regolare e convergente dell'Europa?
La risposta alla prima domanda è semplice: l'Unione vuole un modello di banca che è assolutamente conforme al paradigma definito dall'ultima versione degli standard internazionali di regolamentazione, i cosiddetti accordi di Basilea 3.
Nella realtà, il modello di banca di Basilea 3 è quello basato sullo stesso paradigma su cui si sono plasmate le regole prima della grande crisi: la banca universale 2.0.
La banca universale 2.0 è quella che da un lato è attore del sistema dei pagamenti – quindi le sue passività sono considerate moneta – e dall'altro può essere impegnata in tutte le possibili attività creditizie, finanziarie e assicurative in cui decida di essere attiva, purché sia in grado di rispettare requisiti di capitale ponderati per il rischio. Per cui continua a essere un' impresa speciale, visto che produce moneta, ma può assumere i rischi più disparati, purché abbia abbastanza capitale.
Infatti per controllare la banca universale 2.0 basta avere la cosiddetta vigilanza prudenziale, che è a sua volta basata sul l'assioma che i rischi siano sempre e comunque misurabili. Se questo è vero, per ogni contratto bancario posso calcolare il corrispondente fabbisogno finanziario. Inoltre, poiché una banca altro non è che una semplice somma di contratti bancari, più o meno complessi, ma comunque sempre valutabili, possiamo calcolare il fabbisogno di capitale complessivo. La banca universale 2.0 è efficiente, e allo stesso tempo è stabile.
Peccato che il paradigma della banca universale 2.0 sempre stabile ed efficiente sia fallito.
La grande crisi ha mostrato che un tale modello di banca tende a generare un sistema finanziario complessivo sempre più grande, sempre più complesso, sempre più interconnesso, sempre più opaco. L'eccesso di finanza accresce i rischi di instabilità.
Se si vogliono correre meno rischi di instabilità, il modello di banca universale 2.0 andrebbe corretto verso un modello di banca commerciale 2.0. Il che significherebbe per esempio: un mix di nuova vigilanza prudenziale, in cui quello che conta è anche il livello assoluto delle attività (senza ponderazioni) e di re-introduzione di vigilanza strutturale, vietando a chi produce moneta di impegnarsi in attività troppo rischiose.
Certo, se il modello fosse quello della banca commerciale 2.0, i risultati delle valutazioni della Bce e dei relativi stress test sarebbero diversi. Solo un esempio: con il modello di banca commerciale 2.0 i sistemi bancari con meno capitali – sotto la soglia del 5%, quindi assolutamente più a rischio – sarebbero quelli di Olanda, Francia e Germania.
Invece l'Europa ha confermato il modello banca universale, e la metrica usata dalla Bce è stata conseguente. Da qui un ricalcolo del capitale, che, con la nuova metrica, ha visto tutta una serie di sistemi bancari – tra cui quello italiano – mostrare variazioni in negativo. Cambia la metrica, cambiano i risultati; ma questo non significa evidentemente ed automaticamente che i calcoli precedenti erano sbagliati, o che sono meno bravi quelli che quei calcoli hanno fatto. Sarebbe semplicemente una conclusione arbitraria.
La verità è che l'Unione continua a scommettere sul modello banca universale 2.0, e che quel modello è più vicino alla fisionomia delle banche tedesche, francesi ed anche spagnole, per non parlare di quelle anglosassoni, che nei fatti quel modello hanno imposto al mondo. Occorre però anche chiedersi se è questo il modello che offre le migliori garanzie in termini di stabilità e crescita per l'Europa. L'analisi economica più recente avanza forti dubbi. I politici europei sembrano averne molti di meno.
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