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Questo articolo è stato pubblicato il 12 novembre 2014 alle ore 07:30.
L'ultima modifica è del 12 novembre 2014 alle ore 07:36.

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Quando lo sguardo dalla finestra sul cortile contribuisce ad aumentare lo sconforto, nulla di più naturale che trovare qualche consolazione dalla finestra sul Pacifico. Così forse, dopo il brutto risveglio dalle elezioni di mid-term, il presidente Obama potrebbe tornare rinfrancato dal vertice Apec e dai colloqui bilaterali di questi giorni a Pechino. All'indomani della notte che ha riconsegnato ai Repubblicani la maggioranza in entrambi i rami del parlamento, Obama è intenzionato ad accelerare su quella che potenzialmente si può rivelare una priorità bipartisan per un'America dove la ripresa economica sembra aver attecchito, ma che è percepita in difficoltà sullo scenario internazionale. Quindi, puntare sui temi economici anche in politica estera potrebbe consentire al presidente di cogliere qualche successo nei due anni che mancano alla fine del suo mandato. E in questa chiave, le prospettive dell'Asia orientale sembrano ben più rosee di quelle che l'Europa può offrire.

La sigla a Pechino dell'Ita (Information Technology Agreement) tra Cina e Stati Uniti consentirà di tagliare di un terzo, a regime, i dazi sugli scambi di prodotti ad alta tecnologia tra i due Paesi, e di contribuire in modo significativo allo sviluppo della ricchezza e dell'occupazione sulle due sponde del Pacifico. La creazione del valore si determina sempre più nei comparti dove prevale l'apporto di ricerca e capitale immateriale. Gli analisti statunitensi ritengono che occorra puntare su beni e servizi ad alto valore aggiunto per recuperare i posti di lavoro ben pagati che si sono persi nella recessione. Lo stipendio medio nei settori hi-tech è già oggi più elevato di circa il 20% rispetto a quello della manifattura Usa nel suo complesso. La Cina ha rapidamente scalato la piramide della produzione e dell'export di beni ad alto valore aggiunto. Lo ha fatto anche con politiche commerciali spregiudicate come quella, posta in atto per oltre un decennio, tesa a limitare l'export delle cosiddette "terre rare", ovvero minerali cruciali in una vasta gamma di settori hi-tech nei quali le imprese cinesi hanno sviluppato nel frattempo un vantaggio competitivo.

La sigla dell'accordo Ita prelude inoltre all'intensificazione dei negoziati Tpp (Trans Pacific Partnership) estesi a tutte le principali economie che si affacciano sul Pacifico.
Nel frattempo, e cogliendo finalmente l'opportunità dell'insediamento della nuova Commissione europea, anche gli analoghi negoziati Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership) sembrano ricevere un impulso in questi giorni.
L'Unione europea ha un asset immenso da valorizzare nei negoziati commerciali, e su cui far leva anche per sviluppare processi produttivi avanzati: un mercato interno di 500 milioni di consumatori con un reddito medio elevato, anche al netto delle crescenti disparità. Ma è stagnante da troppo tempo, invischiata in questioni di governance economica oppure in diatribe ideologiche o di potere circa la dinamica di una "sana" crescita economica, che sono forse interessanti per l'accademia, ma assolutamente fuori tempo e luogo nel contesto globale contemporaneo.

Eravamo e siamo ancora tutti in attesa di veder partire il piano da 300 miliardi di investimenti Ue annunciato da Jean-Claude Juncker al momento della sua elezione, ed ora ci troviamo a confrontarci con il rischio che per via del suo operato passato il nuovo presidente della Commissione sia "un'anatra zoppa", proprio come Barack Obama dopo le ultime elezioni. Sarebbe necessario invece che buona parte di quei 300 miliardi di investimenti, almeno la metà, fossero destinati da subito a programmi di ricerca e sviluppo che coinvolgano le migliori eccellenze industriali europee, superando per una volta le liturgie politiche e burocratiche che attanagliano l'Europa.
Anche così manderemmo un segnale ai partner transatlantici sulla nostra determinazione a scommettere sul futuro, invece di aggrovigliarci sul passato e sulle controversie minute del presente.

Le celebrazioni per i 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino sono importanti e ci ricordano di cosa gli europei sono capaci quando credono nei loro mezzi e possibilità. Ma colpisce come, in quasi contemporanea con quella commemorazione del passato, i leader asiatici e il presidente Usa mandino invece una istantanea sulle comuni prospettive future: anche questa è una lezione per l'Europa tutta, forse soprattutto per quell'egemone riluttante che è la Germania.

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