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Questo articolo è stato pubblicato il 20 novembre 2014 alle ore 07:53.
L'ultima modifica è del 20 novembre 2014 alle ore 07:53.

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All'indomani della seconda guerra mondiale l'Europa contava per il 50% del Pil mondiale, oggi per il venti. Se non vuole essere condannata all'irrilevanza politica ed economica deve puntare sull'unico patrimonio che non si è ancora del tutto svalutato: i princìpi di libertà, democrazia, laicità e giustizia sociale.

Questo vale anche per l'atteggiamento da assumere sulla questione mediorientale: perché di questo si tratta quando si affronta la crisi più profonda alle nostre porte insieme all'Ucraina, che promette tragici sviluppi come l'ex Jugoslavia. Possiamo spingere Putin a restituire la Crimea quando non osiamo chiedere a Israele di liberare i territori occupati nel '67 e acconsentire a uno stato palestinese? Evidentemente no. Se non lo faremo lasceremo sempre più spazio al terrore, alla propaganda dell'Islam radicale di Hamas e della Jihad, abbandonando all'insicurezza perpetua arabi ed ebrei.
«Se non ci muoveremo a rianimare il negoziato israelo-palestinese torneremo alla violenza», aveva pronosticato qualche giorno fa Federica Mogherini, Lady Pesc, dopo gli incontri con Lieberman e Netanyahu. Non possiamo dire di non essere stati informati. Adesso chiediamo ad Assad di andarsene, come vorrebbero Arabia Saudita, Turchia e Qatar, appoggiati da una Casa Bianca sempre più altalenante e insicura: ma abbiamo oggi in Siria un'alternativa migliore al Califfato o a Jabat al Nusra? Gli esempi dell'Iraq e della Libia, sprofondati nel caos, sono sotto i nostri occhi. Dobbiamo fare scelte dure ma realistiche. Prima la Svezia ufficialmente e poi i parlamenti britannico, irlandese e spagnolo hanno appoggiato la soluzione dei due stati in Palestina. E noi che abbiamo Lady Pesc cosa aspettiamo? L'Unione deve farsi carico di una questione che la riguarda direttamente per ragioni storiche, morali ma anche economiche. Lo stesso presidente della Bce, Mario Draghi, ha imputato le previsioni al ribasso della crescita ai «rischi geopolitici» in Medio Oriente e Ucraina.

Anche i curdi, 40 milioni divisi in quattro Stati, attendono da oltre 80 anni un riconoscimento dei loro diritti. Nell'assedio di Kobane combattono strenuamente le donne curde: al loro coraggio indomito inneggiano i nostri giornali. Ma la verità è che le abbiamo lasciate sole in prima linea, con i loro uomini, contro il Califfato.
Come pure dovremo affrontare il caso della Turchia, dove tra un paio di settimane andrà il presidente del Consiglio. Anche con i turchi bisogna essere onesti. La Turchia ha dato addio da un pezzo a Bruxelles. I leader europei per anni hanno spinto i turchi a fare riforme convinti che Ankara non ce l'avrebbe mai fatta. E quando il Paese con il miracolo economico dell'era Erdogan è arrivato non lontano dal traguardo, la Francia e la Germania si sono messe di traverso perché non hanno mai avuto intenzione di far sedere la Turchia nel club europeo. E adesso si raccolgono i cocci di una politica europea ipocrita, con un Erdogan sempre meno moderato e sempre più islamico.
Se l'Europa vuole vivere meglio deve darsi una scossa con la presidenza italiana e la guida della politica estera. Ovviamente non dipende soltanto da noi ma dobbiamo almeno provare a contare di più: può un Paese di 60 milioni di abitanti, tra le prime 10 economie mondiali, che spende un patrimonio in difesa e missioni all'estero, alzare le braccia aspettando le decisioni altrui nel Mediterraneo?

Se vogliamo davvero combattere il Califfato, il terrorismo, l'islamismo più radicale, puntiamo sui nostri valori. Anche se vendere armi alle monarchie assolutistiche ci piace tanto, come ha ammesso il ministro francese Laurent Fabius a proposito di un possibile accordo sul nucleare iraniano: «Sono i Paesi del Golfo con i petrodollari che danno una spinta alla nostra economia e all'occupazione, non l'Iran». Ma se questi sono i princìpi che ci guidano siamo perduti.
Il generale egiziano Abdel Fattah al-Sisi verrà ricevuto la prossima settimana da Matteo Renzi. Si discuterà di questioni scottanti come la Libia: il Cairo sostiene il governo di Tobruk, esiliato in Cireanica, l'Italia ha i suoi interessi più rilevaanti in Tripolitania. Ci sarà anche un forum con le maggiori aziende per mettere a punto promettenti contratti: l'Egitto rimane uno dei nostri maggori partner sulla sponda Sud.

Ma in queste ore la procura generale egiziana ha chiesto la condanna a morte per l'ex presidente Mohammed Morsi e altri 35 membri dei Fratelli Musulmani. L'accusa è di spionaggio in favore di Hamas e Hezbollah. Non dobbiamo entrare nelle questioni interne egiziane ma l'Italia è tra i Paesi che più si sono battuti contro la pena di capitale messa al bando da Cesare Beccaria. La pena di morte fu abolita per la prima volta nel Granducato di Toscana il 30 novembre 1786. Il nostro premier Renzi, toscano Doc, dovrebbe ricordarlo anche all'esimio generale egiziano. L'Italia conosce sulla sua pelle l'inutile stupidità della vendetta. Come diceva un vecchio slogan, non c'è pace senza giustizia.

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