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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2014 alle ore 06:50.
L'ultima modifica è del 25 novembre 2014 alle ore 08:01.
Nei primi anni Settanta Giuseppe Prezzolini, dopo aver pubblicato il Manifesto dei conservatori, diventato poi un classico della letteratura politica, coniò la formula «la destra che non c'è» per indicare il deficit politico culturale, in Italia, di un moderno conservatorismo.
Prezzolini aveva vissuto trent’anni negli Stati Uniti, il contesto in cui matura le sue idee è profondamente diverso da quello di oggi ma alcuni contenuti meritano di essere valutati perché attualissimi. Il conservatorismo prezzoliniano, sobrio e moderno, saldo nei valori e nell’identità, ispirato a Machiavelli, Vico, Hobbes, ai grandi tradizionalisti francesi, a Dostoevskij e Heidegger, con un richiamo alla destra storica che governò l’Italia post unitaria, è l’esatto opposto del panorama di rovine, abitato da figure improvvisate, mediocri, tragicomiche, che connota oggi il centrodestra italiano.
I moderati, sia pur con sostanziali diversità, governano la Germania, la Spagna, con qualche difficoltà governano la Gran Bretagna, guidano l’Australia. La destra repubblicana americana ha incassato un risultato storico conquistando Camera e Senato e mettendo alle corde Obama. Le democrazie occidentali si alimentano nell’alternanza di schieramenti e programmi, all’elettorato italiano, invece, questa possibilità è negata dall’inesistenza di un’offerta credibile sul fronte di chi dovrebbe rappresentare valori e idee alternativi alla sinistra.
Il centrodestra, in Italia, non è in crisi, semplicemente non esiste più, si è dissolto. Il voto regionale di domenica, nella sua parzialità territoriale, suggerisce vari temi, il principale di questi, quello dell’astensionismo, la fuga dalle urne. Ma questo è intimamente connesso alla dissoluzione del centrodestra. Nel 1996 e nel 2006 il centrosinistra guidato da Prodi vinse le elezioni, nella logica dell’alternanza, ma un centrodestra esisteva. La situazione che si è creata ora è per i moderati tragicamente diversa. Il potenziale elettorato di questa parte è demoralizzato, spesso giustamente indignato.
Il tema prima ancora che politico è tutto culturale. In cosa si dovrebbe sostanziare uno schieramento moderato oggi? Quali valori e istanze dovrebbe rappresentare? E soprattutto come ripensarsi e ridefinirsi rispetto alla crisi epocale che attraversa l’economia, i rapporti sociali, una geopolitica che ha spostato l’asse della ricchezza verso l’Asia? Parafrasando Ortega y Gasset come «piantare i talloni nel passato, partire dal presente e mettersi in marcia»? Ci vorrebbe una grande elaborazione, prima ancora morale e culturale, che è sideralmente lontana dai “casting” di Villa Germetto.
Agli inizi del Novecento, l’idealismo di Benedetto Croce, in collaborazione con Giovanni Gentile, disegnò l’alternativa al positivismo, ne seguì la scuola politica di Mosca, Pareto e Michels, le riviste delle avanguardie fiorentine. Tutto partiva da un’analisi serrata della modernità industriale che aveva superato l’Ottocento. Lo stesso Norberto Bobbio riconoscerà che «a chi ricordava l’afa e l’oppressura dell’età positivistica pareva che si fosse usciti all’aria aperta e vivida». Quelle premesse culturali ruppero col politicamente corretto dell’epoca, oggi, invece quel che resta del ceto politico del centrodestra, povero di studi, è succube delle egemonie altrui, incapace di disegnare una visione autonoma e di prospettiva.
Nel 94 il centrodestra si presentò parlando di fisco, di Stato leggero, di corpi intermedi, lo fece con uomini come Martino, Fisichella, Urbani, poi Melograni, Colletti, Rebuffa e altri. Quel mondo è radicalmente stravolto, sul tavolo del presente ci sono le grandi migrazioni, l’Asia, lo stritolamento del ceto medio, la demografia, l’ecosistema, la minaccia fondamentalista, l’energia.
Nella sua morfologia della storia universale Max Weber teorizzò amaramente che la linea progressiva di crescita economica e sociale dell’Occidente si sarebbe spezzata, a meno di non essere continuamente rivitalizzata dall’etica del dovere, dall’identità e da una continua relazione fra economia e cultura. Oggi il filosofo britannico Roger Scruton, da conservatore propone un nuovo rapporto dell’umano, che guarda alla comunità di una storia comune.
Un centrodestra attivo dovrebbe partire dalle idee e scendere verso i programmi, con la credibilità delle persone. Renzi fa il suo lavoro e lo fa con efficacia di un abile comunicatore per la sua parte, i fatti diranno se lo fa anche per il Paese tutto. Il centrodestra, invece, non c’è e la sua assenza è un limite di tutta la democrazia italiana.
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