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Questo articolo è stato pubblicato il 04 dicembre 2014 alle ore 07:50.
L'ultima modifica è del 04 dicembre 2014 alle ore 08:10.

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Tutto logico: l’euro in caduta per la politica monetaria ultraespansiva della Bce e, da un mesetto, dalla ventilata promessa di un Qe sui titoli di Stato.

Questi ultimi - i titoli governativi - vedono ogni giorno scendere i loro rendimenti a nuovi minimi storici. Specie quelli dei Paesi periferici. La correlazione inversa tra euro e prezzi dei BTp è impressionante e si direbbe che, a questi ritmi e stando alle previsioni degli analisti che vedono la valuta scendere a 1,15 sul dollaro il prossimo anno o addirittura verso la parità nel 2016, il rendimento dei titoli di Stato decennali italiani e spagnoli possa finire ancora più in basso.

Ma c'è un vizio in questa logica: perché se davvero le politiche monetarie della zona euro e degli Stati Uniti sono destinate a divergere sempre più, non si capisce come mai i rendimenti dei Treasury americani restino inchiodati al 2,29%, per i titoli a 10 anni, e allo 0,5% per i due anni: livelli nettamente inferiori a quelli visti due mesi fa. Per giustificare il tutto bisognerebbe ipotizzare che, sì le politiche monetarie della Bce e della Fed siano destinate a divergere, ma solo in virtù del quantitative easing della prima, con la banca centrale americana orientata a tenere pressoché a zero i tassi per tutto il 2015 (almeno). In alternativa si può supporre che sul cambio euro-dollaro, così come sui titoli di Stato d'Eurozona, si sia scatenata una violenta speculazione.

Entrambe le ipotesi hanno parecchio di vero. È infatti probabile che la Fed sia restia ad alzare i tassi d'interesse il prossimo anno, se l'inflazione resterà sotto il 2,5%. Ma è evidente che il mercato si ostina a sottovalutare le possibilità di una svolta monetaria negli Stati Uniti: come s'è visto ieri, quando, dopo un indice dei servizi migliore delle attese, il rendimento del Treasury decennale è salito meno di quanto fosse sceso due ore prima sulla piccola delusione di un quasi insignificante indicatore come l'Adp National Employment. È invece certo che euro e titoli di Stato d'Eurozona siano oggetto di una formidabile e corale speculazione.

Gli investitori si muovono seguendo una tendenza, con il risultato che si esasperano le valutazioni delle attività finanziarie e il ritmo con cui quei livelli vengono raggiunti. Sull'euro sono (quasi) tutti al ribasso e le posizioni short (ossia ribassiste) aperte presso la Cftcno ai massimi storici. Sul dollaro sono proprio tutti al rialzo e, con 50 miliardi di posizioni lunghe (rialziste), s'è toccato un nuovo record la settimana scorsa. In realtà l'ammontare delle scommesse al rialzo o al ribasso operate sulle valute con i derivati è ben più alto di quanto lascino intendere i numeri comunicati dalla Cftc, perché, accanto al meccanismo di vendere euro e comprare dollari, trionfa anche un carry trade ancor più lucrativo.

Ma ci vuole un attimo a sconvolgere tutti questi giochi. Potrebbe succedere oggi se, dopo la riunione della Bce, si percepisse una dilazione nel quantitative easing fatta balenare da Mario Draghi o, peggio, una diminuita probabilità che il Qe venga davvero lanciato.

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