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«Non compro il Parma». La smentita di Suleiman Kerimov, il…

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calcio e business

«Non compro il Parma». La smentita di Suleiman Kerimov, il magnate russo che viaggia in Ferrari

La smentita ufficiale è sul sito dell'Anzhi e prende di mira i media russi che, citando il Corriere dello Sport, avevano scritto che uno degli oligarchi russi più famosi, Suleiman Kerimov, sarebbe stato coinvolto nella cordata russo-cipriota che avrebbe interesse ad acquistare il Parma Calcio. Kerimov, chiarisce il direttore generale dell'Anzhi Serghej Korabljov, è proprietario di un unico club, l'Anzhi Makhachkala. Attualmente in testa alla classifica del campionato russo, si precisa. La serie B, però. Se la smentita è sincera, la sfida per Kerimov parte da qui, piuttosto.

“Bisogna notare – scrivono in coro i media russi – che attualmente il Parma è all'ultimo posto in classifica, nel campionato italiano”. Se l'interesse di Suleiman Kerimov per la squadra italiana fosse stato confermato, si potrebbe notare che l'oligarca russo ne ha vissute ben altre, di sfide, per farsi intimorire. Stiamo parlando di un uomo che nel 2006 vide la morte in faccia a Nizza, andando a sbattere con la sua Ferrari nera sulla Promenade des Anglais, a fianco della bella presentatrice televisiva Tina Kandelaki; un uomo che l'anno scorso fece precipitare i prezzi mondiali del potassio, e che è sopravvissuto al crash del 2008; un uomo, per tornare al football, che ha cercato di portare la propria terra, il Daghestan, al centro del calcio mondiale. Se ha dovuto ridimensionare il sogno, è stato solo perché il suo Anzhi era finito in una ragnatela troppo grande, troppo grande per tenere insieme il mercato dei fertilizzanti, Eto'o, il Caucaso.

La presenza di Kerimov o di Roman Abramovich nella cordata in trattativa con il Parma dimostrerebbe che l'avventura degli oligarchi venuti dall'Est per conquistare i club occidentali, da Alisher Usmanov all'Arsenal a Dmitrij Rybolovlev al Monaco, non è conclusa: malgrado il gelo sceso tra Mosca e l'Occidente (e tra Mosca e la Uefa) , malgrado la crisi economica che sta avvolgendo la Russia. E malgrado i problemi interni a quel mondo: un'immagine su tutte, i bombardamenti sullo stadio di un altro principe degli oligarchi, l'ucraino Rinat Akhmetov, che sta lottando per salvare il proprio impero coinvolto nella guerra, e tra le sue fabbriche e miniere la sua squadra, lo Shakhtar Donetsk.

Ma nulla è di facile lettura in Russia. Investire soldi in club stranieri non dovrebbe essere più tanto di moda, né le fortune degli oligarchi sono più così scontate: in questi tempi di crisi e credito difficile, ha fatto capire chiaramente Vladimir Putin nel suo discorso alla nazione, la priorità è investire i soldi a casa. E se c'è una cosa a cui lo Zar tiene, crisi o no, quella sono i Mondiali di calcio che la Russia ha conquistato per il 2018. Kerimov – 48 anni, nato a Derbent sul Caspio - è tra gli alleati del presidente, come tutti gli altri dovrebbe fare la propria parte come ognuno l'ha fatta per organizzare le Olimpiadi di Sochi. Ma da qualche tempo, l'oligarca del Caucaso ha iniziato a smantellare il proprio impero in patria. Una fortuna che Forbes nel 2013 calcolava in 7,1 miliardi di dollari.

Dal potassio all'oro, dall'immobiliare al petrolio. Il sospetto di un coinvolgimento nello schema “petrolio in cambio di cibo”, corruzione che ruotava attorno all'Iraq di Saddam Hussein sotto sanzioni. E poi sospetti sui prestiti ottenuti senza difficoltà dalle grandi banche russe: l'ombra del Cremlino dietro Kerimov? L'impero costruito da questo contabile daghestano con il sogno di fare soldi metteva insieme investimenti in Gazprom e quote in Morgan Stanley, Deutsche Bank e Goldman Sachs, le più grandi istituzioni finanziarie internazionali. E toccava appunto anche il calcio: Suleiman Kerimov si era assunto il compito di portare in paradiso il suo Anzhi Makhachkala, per dimostrare che anche il Caucaso può dire la sua nel mondo in fatto di pallone: proprio come il signore della Cecenia, accanto al Daghestan, sta facendo con il suo Terek Grozny.

Spendendo centinaia e centinaia di milioni di dollari, per l'Anzhi Kerimov era riuscito a portare in Daghestan stelle come Eto'o e Roberto Carlos, e un allenatore come Guus Hiddink: soltanto per giocare, in realtà, il resto della settimana i giocatori lo trascorrevano ad allenarsi nella più tranquilla Mosca, dal momento che a Makhachkala la ribellione islamica contro il governo centrale prosegue ogni giorno in sordina, in una delle regioni più povere del Paese. Nell'agosto 2013 il sogno di Kerimov si è bruscamente ridimensionato, per colpa del potassio. Una crisi che lo vide indagato in Bielorussia, dove Kerimov aveva ritirato la sua Uralkali da un'alleanza con la compagnia locale Belaruskali, lo costrinse a vendere la quota del 21,75% nella compagnia russa a un altro famoso oligarca, Mikhail Prokhorov. Il cartello controllava il 40% dell'export mondiale di potassio, il crollo dei prezzi impose a Kerimov enormi perdite: con budget e ambizioni ridimensionati, l'Anzhi non poteva più permettersi le sue stelle mondiali, che in pochi giorni presero altre strade.

Seguì la vendita delle quote di Kerimov in Pik (edilizia), in Alrosa (diamanti) mentre nelle ultime settimane sono riemerse voci sull'intenzione di vendere anche la quota (40,22%) in Polyus Gold, primo produttore russo di oro di cui l'oligarca è l'azionista principale. In una rara intervista al Financial Times, nel febbraio 2012, Kerimov aveva parlato del suo progetto di tornare ad attirare capitali in Russia. Ma ora che tutto sta cambiando, che la crisi impone ovunque tagli ai budget e gela le fortune degli oligarchi e i loro rapporti con l'Europa, quali sono i suoi piani? E che posto avrebbe potuto avere il Parma nella sua ragnatela?

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