Notizie AmericheDietro l'apertura di Raul l'ombra del crack di Caracas
Dietro l'apertura di Raul l'ombra del crack di Caracas
di Roberto Da Rin | 19 dicembre 2014
I due annunci simultanei di Barack Obama e Raul Castro hanno spezzato la lunga catena di offensive e controffensive, proibizioni e rappresaglie che Cuba e Stati Uniti hanno messo in atto per oltre mezzo secolo. I padri di questa perestrojka tropicale sono molti, Obama, Raul, Fidel e forse il Papa che pare abbia contribuito a riallacciare il dialogo. Ma il “fattore Venezuela” ha indiscutibilmente giocato un ruolo forte: Cuba vuole smarcarsi da Caracas e cerca di diversificare le relazioni economiche nella regione. Soprattutto in direzione Nord, gli Stati Uniti.
Il Venezuela invia a Cuba 110mila barili di greggio al giorno, necessari per il fabbisogno delle attività economiche dell'isola e per l'illuminazione di case, scuole, ospedali, uffici. Parte di questo petrolio viene poi rivenduto da L'Avana ad altri Paesi tropicali che lo acquistano a prezzi di mercato.
Fino a quando? Il Venezuela vive una crisi acuta, con l'inflazione al 65%, la produzione paralizzata, il bolivar (la moneta venezuelana) in caduta libera e la scarsità di generi alimentari dagli scaffali dei supermercati. Il calo del prezzo del petrolio a 60 dollari compromette e comprime ancora di più le entrate in valuta esteri di quel Nicolas Maduro, presidente del Venezuela, in palese affanno nel fronteggiare l'emergenza economica. E proprio ieri declassato da Fitch con un rating scivolato a CCC da B. Una revisione che spinge il Paese a rischio default.
Il pericolo reale è che entro breve si interrompa il flusso energetico Caracas-L'Avana, rievocando i tempi più bui del periodo especial, quei primi anni Novanta in cui, cessati gli aiuti sovietici, Cuba è sprofondata in una depressione economica senza precedenti.
Anche per questo il pragmatico Raul Castro ha capito che il legame stretto con Caracas si può trasformare presto in un cappio. Il “socialismo o muerte” scritto sui muri de L'Avana può tradursi in un beffardo socialismo e muerte, una nemesi storica. Troppo dirigismo e una dipendenza eccessiva da un unico Paese amico, condurrebbero dritti a un crac simultaneo, più che alla salvezza comune.
Cuba annovera molti altri Paesi amici nella regione, vero. Il Brasile prima di tutto e poi tutti i membri dell'Alba, l'Alleanza bolivariana delle Americhe, (Venezuela, Bolivia, Ecuador, Nicaragua) ma è Caracas il socio più vicino e il più “petrolifero”, capace di approvvigionare ogni giorno le centrali energetiche dell'isola caraibica.
Poche settimane fa il ministro dell'Economia di Cuba, Marino Murillo, ha parlato chiaro: «Abbiamo necessità di attrarre investimenti privati». Alla luce dell'annuncio congiunto Obama-Castro è tutto ancora più evidente: gli investimenti cinesi, spagnoli e canadesi, affluiti negli ultimi anni non bastano più. È necessario fluidificare i rapporti con gli Stati Uniti, soprattutto con la Florida, lo Stato in cui vive il 70% dell'immigrazione cubana.
È da loro, dai figli e dai nipoti degli odiati gusanos, vermi, che Raul si aspetta una mano. L'embargo è ancora lì, tutto da smantellare; non sarà facile anche perché la maggioranza al Congresso americano è in mano ai repubblicani, contrari al disgelo Cuba-Usa.
La lunga e affascinante narrazione cubana continua, in passato per le illusioni che ha alimentato ora per la fine del bloqueo che pare promettere.