Lifestyle

La lezione di Mario Governa, la riserva professore di basket

  • Abbonati
  • Accedi
PALLACANESTRO

La lezione di Mario Governa, la riserva professore di basket

Chiariamolo subito, Mario Governa non ha mai preteso di insegnare nulla a nessuno. A chi gli chiede, vedendolo alto come una montagna, se abbia giocato a basket, risponde invariabilmente: “Sì, ma ero scarso, un panchinaro”. Nessun cenno ai tre scudetti vinti, alle due Coppe dei Campioni, alla Coppa Intercontinentale, alla Coppa Korac e alla Coppa Italia.

Non ha mai preteso di insegnare nulla a nessuno, eppure anche senza volerlo è un professore di basket. Perché la sua carriera, trascorsa nell'ombra di grandissimi campioni, è l'esempio più chiaro di cosa significhi far parte di un gruppo, accettarne le regole, conoscere e rispettare i propri limiti, impegnarsi al massimo per quello che la squadra ti chiede di dare.

Qualche buontempone, e sul Web ne circolano tanti, ha scritto di lui: “è l'unico giocatore con più titoli vinti che minuti giocati”. Altri dicono che era scarso e che, mi si scusi il termine ma rende benissimo, ha avuto “culo” a giocare nella leggendaria Olimpia degli anni 80.

Ieri sera al Forum di Assago, mentre tutti celebravano il ritiro della maglia di Mike D'Antoni, Mario Governa ha avuto la sua rivincita. Ha dimostrato che se “culo” c'è stato non è quello avuto nel giocare con gente come Meneghin e McAdoo, ma quello che si è fatto permettendo ai suoi compagni di allenarsi al massimo contro di lui. Tornando a casa, ogni sera, con i lividi sul corpo: perché contro quei due, allenamento o no, era sempre una finale di Coppa Campioni.

Più che le frasi di qualche presunto esperto di basket, che probabilmente faticherebbe a dire di che colore è la palla senza prima guardarla, preferisco riportare le parole di Mike D'Antoni: “Sono abbastanza intelligente da capire che la mia maglia viene ritirata non per merito mio, ma per merito del gruppo. Senza Peterson, senza Meneghin, senza McAdoo io non posso fare niente. Ho fatto la mia parte, avevo un ruolo e l'ho svolto bene, ma avevo la palla in mano e mi si notava di più. Ma non ero più importante di Mario Governa: non so quante gomitate ha preso da Meneghin e McAdoo. Era un ruolo anche quello, qualcuno doveva farlo e lui l'ha fatto”.

Iera sera Mario Governa era in mezzo al campo, insieme ai campioni di quella squadra leggendaria. Dalla tribuna dietro canestro è stato facile vedere con quanto affetto, dopo tanti anni, sia stato salutato dai suoi vecchi compagni e da chi, da Peterson a Pippo Faina, l'ha allenato. Roberto Premier, dopo un momento di sorpresa, l'ha sommerso in un abbraccio che non voleva più sciogliere.

Conoscenza dei propri limiti, impegno massimo in ogni momento, mai una volta la pretesa di scendere in campo al posto dei compagni più forti. La squadra al primo posto, sempre. L'accettazione del proprio ruolo: meglio non pretendere di essere in campo a tutti i costi, magari creando problemi alla squadra più che risolverli, e spendere ogni goccia di energia perché i compagni più forti potessero arrivare alla partita nelle condizioni migliori.
In molte imprese dell'Olimpia c'è un pizzico di Mario Governa: prima della grande rimonta dai -31 contro l'Aris Salonicco lui era nella palestra secondaria del Palalido a prendere botte sotto canestro. Prima del grande Slam, seguito dalla vittoria nella Coppa Intercontinentale, lottava su ogni pallone contro Meneghin e McAdoo per prepararli al meglio per i momenti decisivi.

Alla fine, come dice Mike D'Antoni, non è stato meno importante di loro: è stato l'ingranaggio giusto che ha permesso al motore di quella squadra leggendaria di funzionare senza intoppi.

Per questo, se vi risponde come sempre “ero scarso, un panchinaro” non credetegli. Mario Governa è un professore e la sua storia insegna una lezione che chiunque si avvicini al basket dovrebbe imparare: la squadra prima di tutto. Prima di te stesso, prima dei minuti che pretenderesti di giocare al posto di chi è meglio di te, prima di arrendersi alla fatica e al peso di ore e ore di allenamento per poi scendere in campo un minuto quando capita. Una lezione che vale per tutti, per chi gioca ad alto livello ma soprattutto per i più giovani.
Fatica, impegno e accettazione dei propri limiti. Questo, come dice Mario, è lo sport. Tutto il resto al massimo è un gioco, oppure baysitteraggio.

© Riproduzione riservata