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Tre fiducie sull’Italicum, Renzi: se vogliono mi mandino a casa

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oggi il primo voto blindato

Tre fiducie sull’Italicum, Renzi: se vogliono mi mandino a casa

Insulti, grida, parolacce da parte delle opposizioni. E poi lacerazioni, strappi, tormenti anche nella maggioranza, prima di tutto in casa Pd. Con il premier Matteo Renzi deciso più che mai: o si approva la legge elettorale o si va a casa. È stata bagarre oggi in Aula alla Camera, dopo che il governo ha chiesto il voto di fiducia sull’Italicum. Anzi i voti, perché saranno tre: la conferenza dei capigruppo, riunita nel pomeriggio, ha stabilito che si voterà la prima sull’articolo 1 domani pomeriggio e le altre due (sugli articoli 2 e 4) giovedì. Mentre il voto finale a scrutinio segreto, su cui non si può mettere la fiducia, slitterà probabilmente alla prossima settimana. Perché i capigruppo hanno deciso di rispolverare il cosiddetto “lodo Iotti”, la facoltà per ogni primo firmatario di un emendamento di illustrarlo per trenta minuti sebbene tutte le proposte di modifica, con la fiducia, decadano automaticamente.

Bocciate le pregiudiziali di costituzionalità
Il confronto sulla riforma era cominciato stamane con la bocciatura a scrutinio segreto delle pregiudiziali di costituzionalità (209 s favore, 384 contrati) e di merito (208 sì, 385 no) presentate dalle opposizioni. Respinta (206 a 369) anche la questione sospensiva posta da Forza Italia. Poi l’esecutivo ha rotto gli indugi e richiesto la fiducia, autorizzata da un Cdm lampo riunitosi nella pausa pranzo e ufficializzata dalla ministra alle Riforme Maria Elena Boschi alla ripresa dei lavori pomeridiani. Scatenando l’ira e gli insulti delle opposizioni. Intorno alle 16.30 la seduta è stata sospesa per la riunione della capigruppo. E il M5S, che aveva annunciato anche clamorose «azioni extraparlamentari» in caso di fiducia, si è riunito in assemblea per decidere il da farsi.

Renzi sfida il Parlamento: avanti senza paura
«Dopo anni di rinvii noi ci prendiamo le nostre responsabilità in Parlamento e davanti al Paese, senza paura», ha scritto subito su twitter il premier Matteo Renzi. E ha rincarato, dopo le proteste in Aula: «La Camera ha il diritto di mandarmi a casa se vuole: la fiducia serve a questo. Finché sto qui, provo a cambiare l’Italia». La sera, al Tg1, ribadisce:
«Non c’è cosa più democratica di mettere la fiducia: se passa, il governo va avanti altrimenti va a casa. Cosa c’è di più democratico di chi rischia per le proprie idee? È tempo del coraggio, non di rimanere attaccati alla poltrona. La minoranza rispetti le decisioni della maggioranza altrimenti è anarchia». «Porre la questione di fiducia - gli ha fatto eco il vicesegretario Pd Lorenzo Guerini - non solo è legittimo ma significa verificare la possibilità di realizzare uno degli obiettivi fondamentali per cui è nato questo Esecutivo. È il momento di capire se il Governo può arrivare fino al 2018».

Boschi: «Fiducia elemento di chiarezza»
Al Tg5 è Boschi a spiegare: «La fiducia è stato elemento di chiarezza: per il governo perché se perde va a casa, per il Parlamento perché così decide, e per i cittadini perché impedisce voti segreti, inciuci e trabocchetti». La ministra riapre sulle riforme costituzionali («Se c’è bisogno di qualche contrappeso si possono cambiare»), ma avverte: «Le modifiche devono essere necessarie. Non ci sono blindature, ma non è uno scambio».

Bersani, Speranza e Letta: non votiamo la fiducia
La minoranza che Renzi ha richiamato all’ordine è intanto come al solito divisa. L’ex capogruppo Roberto Speranza, che già domenica aveva bollato l’eventuale fiducia come «una violenza al Parlamento», ha annunciato il suo non voto: «Considero un errore gravissimo porre la fiducia sulla legge elettorale, senza ostruzionismo e dopo un voto rassicurante sulle pregiudiziali. Ne ho votate tantissime in questi anni e ne continuerò a votare nei prossimi mesi. Ma questa volta no». Parole che pesano. Non a caso nel pomeriggio è arrivata a stretto giro la decisione di Pier Luigi Bersani: «La penso come Roberto Speranza. Ho votato 17 volte la fiducia al governo, più di una al mese. Sono pronto a votare per altre 17 volte su atti di governo che riguardino il governo. Sulla democrazia un governo non mette la fiducia. Questa fiducia io non la voterò». Dello stesso avviso l’ex premier Enrico Letta: «Dopo lo strappo voluto dal governo non voterò la fiducia all’Italicum. Le regole non si impongono e non si cambiano da soli». E anche per Gianni Cuperlo la fiducia «è una scelta grave, indecifrabile, uno strappo». Cosa faremo? «Lo valuteremo».

Tensioni in Area riformista
Nonostante l’annuncio di Speranza, Area riformista decide soltanto stasera in assemblea la linea da tenere sulle tre fiducie e il clima è teso. «La scelta da me compiuta è a titolo
personale e non impegna l’area», ha precisato Speranza aprendo la riunione. «Un punto è pacifico», spiega il deputato Andrea Giorgis: «Nessuno vuole revocare la fiducia a Renzi. Il governo Renzi è il nostro governo, è il governo di cui ha bisogno il Paese. Quindi la fiducia è sulla legge elettorale, non sul governo». Il ministro della Giustizia Andrea Orlando, che di Area riformista fa parte insieme tra gli altri a Fassina, Epifani (anche lui non voterà la fiducia) e Boccia, ammette: «Sarebbero dovuti arrivare segnali di compattezza che non sono arrivati. Mi auguro che si possa superare questa fase di lacerazione». Ma c’è anche chi si smarca subito: Cesare Damiano voterà la fiducia e Dario Ginefra non nasconde l’irritazione per Speranza. «Chi si assume la responsabilità della guida e della rappresentanza di una qualsiasi comunità - afferma - non può farlo a colpi di decisioni personali o condivise da una stretta cerchia di amici».

Anche Bindi, Fassina, Civati e D’Attorrenon voteranno
Per altri deputati democratici, il non voto alla fiducia è più scontato. Come per Stefano Fassina, che ha twittato: «La fiducia su legge elettorale è inaccettabile, mina alle fondamenta la democrazia e tradisce i valori costitutivi del Pd». Come per Pippo Civati, che ha detto di aver votato persino a favore delle pregiudiziali di costituzionalità e di merito, dunque contro il governo, aggiungendo a “La zanzara” su Radio24 che «è un passaggio drammatico, non solo per me. Se non vado via io, mi cacceranno loro. Ma preferisco andare via. Vediamo, aspettiamo qualche giorno». O come per Rosy Bindi e Alfredo D’Attorre, due dei dieci deputati Pd sostituiti in commissione Affari costituzionali: Bindi non esclude addirittura di votare “no” alla legge, D’Attorre invita gli altri a «non chinare il capo».

Brunetta: no al fascismo renziano. Insulti a Boschi
Quando la ministra Boschi ha posto la fiducia sul testo approvato dalla commissione Affari costituzionali, identico a quello già approvato dal Senato in seconda lettura, le sue parole sono state accolte da un boato dai banchi delle opposizioni e subissate da una valanga di fischi per protesta contro la scelta del Governo. Dai deputati Sel sono stati lanciati anche mazzi di crisantemi. A scagliarsi contro il Governo anche il capogruppo di Fi Renato Brunetta: «Non permetteremo che questa aula diventi il bivacco dei manipoli renziani», e per questo gli azzurri «faranno di tutto per ostacolare l’avvento del fascismo renziano». «Branco di maiali infami», ha tuonato l’azzurro Maurizio Bianconi, inveendo anche contro la ministra. Più tardi Brunetta ha esibito un’insolita vicinanza alla minoranza Pd: «Onore a Roberto Speranza e a tutti quelli che nel Pd rifiuteranno la violenza fascista di Renzi. Noi resteremo in Aula per stare accanto a Speranza e alla minoranza del Pd». Ma c’è chi fa notare, conti alla mano, che qualche voto azzurro è arrivato in soccorso del governo già oggi sulle pregiudiziali.

Dal M5S insulti e parolacce al capogruppo vicario Pd
Parolacce e insulti sono volati dai banchi del M5S mentre ha preso la parola il capogruppo vicario del Pd, Ettore Rosato, che ha accusato Fi di incoerenza, Sel di aver prima incassato alcune modifiche all’Italicum e poi di aver lanciato i crisantemi e infine lo stesso M5S di aver chiesto e ottenuto il premio di maggioranza alla lista (introdotto nel testo a Palazzo Madama). Pesantissime le reazioni, soprattutto dei deputati grillini, che hanno urlato a più riprese «Vergogna, vergogna», tanto da costringere la presidente della Camera Laura Boldrini a continui richiami.

Grillo: «Scempio: nessun segnale da Mattarella»
Caustico il commento del leader dei Cinque Stelle, Beppe Grillo, che twitta: «Scempio fiducia italicum: nessun segnale da Mattarella. Dopo moniti di Napolitano, l’estrema unzione silenziosa del Quirinale. Eia eia alalà». Su facebook Grillo ha parlato di «emergenza democratica»: «La fiducia su Italicum non è normale: è fascismo!». E continua il pressing del M5S sul Colle, anche su twitter dove i Cinque Stelle hanno lanciato un hashtag ad hoc:#Mattarellanonfirmare.

Boldrini: possibile la fiducia in materia elettorale
Proprio la presidente ha allora precisato che, a norma di regolamento, «tra le materie escluse dalla facoltà del Governo di porre la questione di fiducia non ci sono quelle elettorali», per cui la «presidenza senza entrare nel merito dell’opportunità politica non può che ammettere l’esercizio di tale prerogativa». «Collusa!», ha gridato Diego De Lorenzis del M5S, che ha guidato la “rivolta” dei Cinque Stelle contro la presidente della Camera, che a sua volta ha replicato: «Lei non può esprimersi in questi termini sulla presidenza. Ne dovrà rispondere».

Salvini (Lega): Renzi ha una paura folle
Matteo Salvini, il segretario della Lega, si è detto convinto che «la decisione della fiducia sulla legge elettorale è il segno che Renzi ha una paura folle. Non è audacia la sua ma il ruggito del coniglio, di uno che si accorge che sta perdendo consensi. I conti con lui li facciamo democraticamente il 31 maggio nelle urne elettorali».

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