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Per il calcio in Borsa la selezione è darwiniana: premia solo le…

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Per il calcio in Borsa la selezione è darwiniana: premia solo le migliori

Il processo di finanziarizzazione del calcio, di cui le nuove formule delle Tpo e delle Tpi sono una tappa fondamentale ma non definitiva, deriva dalle quotazioni dei club. Il Tottenham è la prima società a essere sbarcata in Borsa e rimane la sola fino al 1987-88. Nel successivo decennio, altri 11 club ne seguono l'esempio. Dal 1999, c'è poi una vera e propria corsa alla quotazione, con il picco di 36 società raggiunto nel biennio 2001-03. Dopo qualche anno, a partire dal Regno Unito, però, inizia la defezione, con la decisione di molti club di procedere al delisting. I club quotati si riducono a 30 nel 2009, per poi continuare ad assottigliarsi, fino ai 25 del 2015. La maggior parte sono presenti nello Stoxx Europe Football, un indice ideato per riunire tutte le squadre di calcio presenti nei listini del Vecchio Continente .

Sul binomio calcio-Borsa si è affermato ormai un pensiero dominante che considera un'avventatezza la quotazione e una sorta di pazzia l'investimento in una società di calcio. E, in effetti, ci sono molti dati empirici e fondate statistiche a suffragare questo pregiudizio. In Italia, non appena si apre il dibattitto sull'argomento, alla fine degli anni Novanta, l'allora presidente della Covisoc Victor Uckmar scandisce il suo epitaffio: «I titoli legati al calcio sono sconsigliati agli orfani e alle vedove». Un ammonimento inascoltato dalla Consob guidata da Tommaso Padoa Schioppa, che nel 1997 su pressione dei presidenti più accaniti sul tema della quotazione (da Cecchi Gori a Cragnotti) modifica le regole che impedivano l'accesso al mercato azionario ai club calcistici prescrivendo l'obbligo di depositare gli ultimi tre bilanci (di cui l'ultimo certificato da una società di revisione). Abrogando però il codicillo che imponeva che questi tre bilanci fossero tutti in utile.

Il primo club tricolore ad approfittare della modifica regolamentare è la Lazio di Sergio Cragnotti che si presenta nel maggio del 1998 sul listino azionario a 11.500 lire (5,9 euro), rastrellando 120 miliardi di lire suddivisi tra il club e la controllante Cirio. Il 23 maggio 2000 a Piazza Affari sbarca la Roma di Franco Sensi a 5,54 euro incassando 71,5 milioni di euro, di cui 16,5 destinati a ripianare i debiti e 55 ai Sensi. Il 20 dicembre 2001 è la volta della Juventus che si presenta a Milano con un ambizioso progetto di media and entertainment company sostenuto dall'Ad Antonio Giraudo. Le azioni collocate a 3,55 euro fruttano 63 milioni al club, 80 milioni alla controllante della famiglia Agnelli, IFI, e 5,5 allo stesso Giraudo.

Anche il «Financial Times» sottolinea in quel periodo come il calcio «è un affare ad alto rischio. Un goal può segnare la differenza tra promozione e retrocessione modificando radicalmente le prospettive commerciali di una squadra. E comunque non tutti i club hanno la stessa capacità manageriale di trasformare le vittorie sportive in successi commerciali». La discriminante, in definitiva, è riassunta bene in quest'ultima considerazione. Se la quotazione è fine a se stessa e funzionale solo a racimolare capitali freschi al «parco buoi» non può che rivelarsi disastrosa perché soggetta alla volubilità dei risultati sportivi e all'umore dei tifosi-shareholders. Ma se è collegata a un progetto industriale credibile e a società che hanno un patrimonio solido, non limitato alla rosa degli atleti, allora il discorso cambia e goal e rating non sono così incompatibili come sembrerebbe a prima vista.

Il confronto tra l'andamento degli indici azionari e il rendimento dei club europei quotati mette in luce come questi ultimi siano non di rado capaci di proteggere bene il proprio valore dalle ondate ribassiste. L'analisi di PwC e «Il Sole 24 Ore» sulle squadre di calcio presenti in Borsa in un arco temporale che abbraccia le difficili stagioni successive al fallimento di Lehman Brothers (settembre 2008), consente di confutare alcuni luoghi comuni, come il fatto che il «prezzo» delle azioni delle società di calcio sia eccessivamente volatile e con scarse chance di redditività. A partire proprio dall'Italia. Se l'Ftse Mib fra il 31 ottobre 2007 e il 28 settembre 2012 cede il 18%, le azioni di Juventus, Roma e Lazio perdono solo il 5,5 per cento.

Le quattro squadre turche quotate – Besiktas, Fenerbace, Galatasaray e Trabzonspor – nello stesso quinquennio addirittura guadagnano terreno (+10,3%), superando la performance del mercato di riferimento (l'Ise 100 fermo a +2,9%). In Olanda l'Ajax fa meglio dell'indice Aex, perdendo il 3,6% contro il 10,2, e in Germania il Borussia Dortmund dribbla il «rosso» del Dax (-2,1%) registrando un rendimento positivo (+8,3%). Certo, non sempre i club calcistici si rivelano così rapidi nell'uscire dalle secche finanziarie.

Nel Regno Unito Arsenal, Tottenham e Celtic perdono l'8,3%, il 5,1% in più dell'indice Ftse 10. E molto peggio va ai club portoghesi e danesi. Benfica, Porto e Sporting Lisbona lasciano in Borsa il 33,4% del proprio valore (mentre l'indice Psi 20 in quello stesso periodo fa segnare una flessione del 17%) e lo stesso risultato ottengono i cinque team danesi (Brøndby, Aalborg, Silkeborg, Agf e Fc Copenhagen) quotati all'Omx Copenhagen 20 che bruciano un terzo del prezzo che avevano alla fine del 2007. «Come si vede», sottolinea Emanuele Grasso, partner PwC, «il quadro finanziario dei club di calcio si presenta diversificato, segno che l'andamento del titolo in Borsa nel medio-lungo periodo risponde più ai fondamentali economici dell'azienda ovvero del sistema-Paese di riferimento, che ai goal segnati o subìti in campo».

Basta osservare la classifica del rendimento delle ultime cinque stagioni per rendersi conto che, al netto di un flottante spesso minimo, in quanto le proprietà tendono a conservare ampie quote di maggioranza, in non pochi casi i club dimostrano una «solidità» tale da giustificare investimenti non dettati, o non dettati solo, dalla passione sportiva. Sempre fra l'autunno 2007 e l'autunno 2012 la palma del club titolare della migliore performance è andata al Besiktas (+15,1%). Al secondo posto di questa graduatoria si piazza l'Arsenal (+13,8%), mentre il terzo gradino del podio è occupato da un'altra compagine turca, il Trabzonspor (+9,6%). La vitalità del calcio turco che si inserisce nel flusso di un'economia in grande espansione è confermata dalla crescita del Fenerbahçe (+9,4%) che fa persino meglio del Borussia Dortmund (+8,3%). Tra i club europei che registrano progressi c'è anche la Lazio (+7,4%), mentre Roma e Juve rallentano, rispettivamente, dell'8,4% e del 15,7%.

Osservando le oscillazioni azionarie dei team in una fase tendenzialmente più favorevole per le Borse mondiali, fra il 4 gennaio 2010 e il 31 dicembre 2014, i rendimenti sono ancora più radicalizzati nel bene e nel male (come si evince della tabella pubblicata sotto) . Il Borussia Dortmund, il primo club di calcio tedesco a quotarsi in Borsa nel 2000, registra la migliore performance con un +282% (e il 26 settembre 2014 la quotazione ha raggiunto i 4,6 euro), seguito da Arsenal e Celtic (+63%). Hanno rialzi superiori al 40% anche Besiktas, Ajax e Lazio. I peggiori del listino sono, al contrario, i polacchi del Ruch Chorzow (-88%), i danesi dell'Aarhus e del Brøndby, con decrementi superiori al 75%.

Tra i club con il miglior piazzamento borsistico c'è l'Ajax presieduto da Hennie Henrichs e unico club quotato della Eredivisie (Lega che nel 2013 ha un fatturato totale di 443 milioni). Fra il 2010 e il 2014 i club turchi regalano in Borsa performance alterne. La Super Lig, che produce un giro d'affari annuo di 580-600 milioni di euro, vive una fase di difficoltà anche perché dopo essere stata sospinta da un'economia nazionale cresciuta negli anni Duemila con perfomance «cinesi» e un Pil pro capite passato dai 2.500 dollari del 2002 agli oltre 10mila di oggi, ne patisce il rallentamento.

Nel quadriennio 2010-14 a fare meglio di tutti i club turchi in Borsa è il Besiktas, società controllata dal gruppo Beşiktaş Jimnastik Kulübü Derneği, che detiene il 62,5% delle azioni (il 37,5% costituisce il flottante). Il Beşiktaş J.K., fondato nel 1903 nell'Impero Ottomano, è la più antica polisportiva turca, ma anche una tra le più innovative: nel 2004 la società realizza una propria emittente, la Beşiktaş TV. L'attuale presidente è Fikret Orman, uomo d'affari turco, che nel 2012 ha sostituito Yıldırım Demirören. Le Aquile Nere di Istanbul hanno sponsor di rilievo come Odeabank – di cui Bank Audi SAL, la più grande banca del Libano, detiene il 93% – e Turkish Airlines. Il jersey sponsor è Vodafone che sta finanziando anche la nuova Vodafone Arena, stadio tuttora in costruzione sulla riva europea del Bosforo. Nella stagione 2014-15 il Besiktas è ospitato in diverse città e dovrebbe disputare le ultime gare casalinghe ad Ankara.

Di segno opposto nello stesso periodo è il rendimento del Fenerbahçe (la squadra più titolata del Paese con 19 scudetti come il Galatasaray, anche se il Gala ha vinto un'Europa League nel 2000), che ha visto eroso del 30% il suo valore.Il risultato peggiore in Borsa lo ha riportato, comunque, il Galatasaray con un -59%. Dal 1997, il pacchetto di maggioranza (68,77%) è di proprietà della Galatasaray Sportif Sınai ve Ticari Yatırımlar A.Ş, società quotata alla Istanbul Stock Exchange.

Il Galatasaray nel 2013 è al 16° posto della graduatoria Deloitte con 156 milioni di ricavi (35 dai matchday, 52 dai broadcasting, 69 dall'area commerciale). È stata questa la migliore stagione per il club anche grazie ai 25 milioni di introiti derivanti dalla Champions dove è giunto ai quarti di finale. Nel 2014 registra un deficit di 40 milioni di euro, nonostante la cessione di alcune società controllate che portano un beneficio di circa 30 milioni in termini di plusvalenze per operazioni straordinarie, ma riducono il perimetro del fatturato ordinario a 99 milioni di euro. Il Galatasaray paga ingaggi per 92 milioni e ha ammortamenti per 18 milioni.

Questo squilibrio finanziario che ha provocato le sanzioni della Uefa per il Fair Play Finanziario impone interventi di ricapitalizzazione. Una valanga ribassista si è abbattuta sui tre club portoghesi quotati: Porto, Benfica e Sporting Lisbona che hanno visto le proprie azioni svalutarsi di circa due terzi fra il 2010 e il 2014.

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