Italia

Riforme, Pd accelera: ddl Boschi in Aula oggi a Palazzo Madama

  • Abbonati
  • Accedi
nuovo senato

Riforme, Pd accelera: ddl Boschi in Aula oggi a Palazzo Madama

Il ddl sulle riforme costituzionali approderà in Aula al Senato già oggi, per proseguire l'esame per tutto il giorno e poi riprendere anche nella giornata di venerdì. È quanto ha stabilito, a maggioranza, la conferenza dei capigruppo di palazzo Madama. È passata dunque la linea del Pd, dettata da Matteo Renzi, che intanto tesse alleanze per racimolare i voti necessari e oggi ha incassato il “non ostruzionismo” dei tre senatori tosiani. Non solo. È stata convocata per lunedì prossimo la direzione del partito. Lo scopo è avere il via libera del partito prima di affrontare il passaggio del voto nell'Aula del Senato delle riforme costituzionali. Nella capigruppo a palazzo Madama, il presidente dei senatori del Pd Luigi Zanda ha chiesto e ottenuto di calendarizzare subito per l’Aula il testo di riforma costituzionale, bypassando l’esame della commissione. Fissato per mercoledì prossimo, 23 settembre, il termine per la presentazione degli emendamenti in Aula. Sempre per mercoledì è fissata la chiusura della discussione generale. A seguire l’inizio delle votazioni. L’obiettivo del governo è incassare l’ok di Palazzo Madama entro il 15 ottobre, ossia prima dell’approdo a palazzo Madama della legge di stabilità.

Senato conferma approdo domani in Aula
L’Aula del Senato ha bocciato fino alla tarda serata di ieri tutte le proposte di modifica del calendario approvato a maggioranza dalla conferenza dei capigruppo. Anche la minoranza Pd per disciplina ha votato come la maggioranza. I no alle proposte di modifica sono stati 173, gli astenuti sono stati 3, i sì sono stati 99. «Tutte le dieci votazioni sul calendario si sono concluse con una differenza di 74 voti, 77 se si contano le astensioni. Una forbice molto ampia, un segnale forte e positivo di una chiara volontà del Parlamento: rifiutare ogni tattica ostruzionistica in commissione e approvare rapidamente la riforma della Costituzione che serve al Paese» ha commentato Luigi Zanda, capogruppo del Pd a Palazzo Madama.

Bersani: si lascino margini a Parlamento
Intanto Pier Luigi Bersani fa appello perché si lasci «un po’ di margine al Parlamento sui grandi temi costituzionali». Interpellato dai cronisti alla Camera sul confronto interno di lunedì l’ex segretario esclude categoricamente l’intenzione di far cadere l’esecutivo. E dice: «Parliamo di temi di governo. Leggiamo ovunque le cifre della legge di stabilità e non dico dei dettagli, ma almeno nell'impostazione generale, vogliamo parlarne nel partito?».

I nodi alla direzione del partito
Secondo fonti di maggioranza dem la direzione «si concluderà con un voto che ricordi a tutti qual è la posizione del partito sulle riforme». Lo stesso Renzi, nell’assemblea con i senatori democratici della scorsa settimana, aveva spiegato che non chiedeva «disciplina» alla minoranza interna, ma «lealtà». E il voto di lunedì, spiegano le stesse fonti Pd, «servirà a discutere, come è normale che si faccia in un passaggio così importante, ma anche a chiarire cosa vuole la maggioranza del partito». In direzione, infatti, i rapporti di forza sono largamente a vantaggio del segretario.

Romani (Fi): forzatura inaccettabile
La decisione di andare subito in Aula è stata definita una «forzatura inaccettabile» dal capogruppo di Fi a palazzo Madama, Paolo Romani. A lui ha replicato il capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda: «Nessuna forzatura da parte del Pd» e della maggioranza nel chiedere l'approdo in Aula del ddl Boschi già domani, saltando il passaggio in commissione Affari costituzionali. Semmai, «la forzatura è quella di chi ha presentato 550mila emendamenti, una cosa che non si è mai avuta nella storia della Repubblica. Chi ha manovrato gli emendamenti ha una responsabilità».

Opposizioni pronte a ritiro emendamenti
Il leghista Roberto Calderoli, a capigruppo in corso, aveva annunciato il «ritiro dei suoi 500mila emendamenti in commissione, tranne 10», chiedendo però la convocazione del comitato ristretto sulle riforme, per trovare eventuali punti di convergenza e bloccare la possibilità di passare all'esame del ddl Boschi direttamente in Aula. E anche Forza Italia e Sel (ma non il M5s) si erano dette disponibili a ritirare gran parte dei loro emendamenti. Una mossa tattica bollata come «manovra politica» dal capogruppo del Pd in Senato Luigi Zanda.

Finocchiaro: possibile testo condiviso nel Pd
I pontieri sono comunque al lavoro nel Pd. Sulla riforma del Senato è possibile «arrivare ad un testo ampiamente condiviso nel mio partito e nell'aula del Senato». La senatrice del Pd Anna Finocchiaro, presidente della commissione Affari Costituzionali ha provato oggi a sdrammatizzare una situazione che ieri è sembrata precipitare. «Io credo - ha osservato Finocchiaro - che sia necessario portare a compimento, in tempi certi e rapidi, dopo la prima lettura della Camera e del Senato e dopo 30 anni di discussioni, il percorso della riforma costituzionale. Resto convinta che ci siano le condizioni politiche e tecniche, anche sulla scorta del regolamento, per arrivare ad un testo ampiamente condiviso nel mio partito e nell'aula del Senato». E Roberto Speranza, uno dei leader della minoranza non chiude la porta. «Un accordo sulle riforme si può ancora fare - dichiara - ma dipende da Renzi. La prova muscolare della conta in direzione non serve a nulla. Servirebbe invece una apertura politica che purtroppo in questi giorni non c'è mai stata»

Le tensioni non sopite tra i democratici
A Palazzo Madama la discussione sulla riforma del Senato e del Titolo V è precipitata ieri verso il voto in Aula (bypassando la commissione), dopo che il Pd ha chiesto e ottenuto dal presidente Grasso la convocazione di una capigruppo (convocata oggi alle 15 a palazzo Madama). La decisione di Renzi e dei vertici del Pd di saltare il voto in commissione e andare direttamente in Aula si è concretizzata dopo lo strappo della minoranza del Pd, che con la senatrice bersaniana Doris Lo Moro ha abbandonato il tavolo del confronto, e dopo che la presidente della commissione Anna Finocchiaro ha giudicato inammissibili gli emendamenti all'articolo 2 del Ddl Boschi tesi a reintrodurre l'elezione diretta dei senatori, come continua a pretendere la minoranza del Pd, forte di 29 senatori dissenzienti.

Ruolo strategico di Grasso
Dopo che il precedente istituzionale è stato fissato con la decisione della presidente della prima commissione sull'articolo 2, è partito ieri il contropiede della maggioranza: «Non abbiamo nessuna intenzione di rompere, ma ai temporeggiatori che vorrebbero uccidere silenziosamente la riforma ricordo che la doppia conforme è chiara», ha spiegato Renzi ai capigruppo del Pd. Ora la palla è passata nel campo del presidente del Senato Pietro Grasso, che per giorni ha provato a evitare la decisione drammatica («qualsiasi scelta farò - ripete ai suoi - a questo punto la riforma rischia di non saltare») invocando una soluzione politica. Soluzione politica impossibile, visto l'incagliarsi della discussione nel Pd sull'articolo 2. Sta ora a Grasso (irritato dall’accelerazione di Palazzo Chigi) decidere se conformarsi alla decisione di Finocchiaro o aprire l'articolo 2 alla valanga di emendamenti. Con il rischio di una crisi di governo.

Schifani: voto riforme non collegato a modifica Italicum
Intanto si registrano divisioni sempre più marcate dentro Ncd. Il capogruppo Renato Schifani ha dichiarato oggi che «non c'è uno stretto legame tra il voto sulle riforme e il cambiamento della legge elettorale», smentendo così la posizione espressa domenica dal coordinatore del partito Gaetano Quagliariello. Quest’ultimo ha presentato un disegno di legge per modificare l’Italicum introducendo il premio a coalizione al posto di quello attuale alla lista più votata (sempre che raggiunga il 40% dei voti). Ma crescono i maldipancia nel partito centrista, con una decina di senatori orientati a non votare il ddl Boschi senza una contemporanea revisione della legge elettorale.

© Riproduzione riservata