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Il «vigile» ha fatto il suo dovere

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l’analisi/1

Il «vigile» ha fatto il suo dovere

Se non ci fossero ben 16 banche attualmente commissariate, il dubbio che la vigilanza di Bankitalia sul sistema creditizio nazionale non funzioni come dovrebbe sarebbe anche legittimo. E se qualche banca fosse fallita in Italia come è avvenuto in gran parte d'Europa durante e dopo la crisi, i dubbi sarebbero ancor più legittimi.

E la questione non vale soltanto per i commissariamenti anti-crack. Soprattutto negli ultimi anni, cioè a partire dalla crisi dei subprime e dal fallimento di Lehman Brothers, Via Nazionale - laddove non ha commissariato - ha comunque esercitato appieno i propri poteri di vigilanza e di moral suasion anche per rimuovere dalle cariche esecutive banchieri ritenuti inadeguati, al centro di inchieste penali o comunque non all'altezza di garantire ai risparmiatori una sana e prudente gestione del credito.

Lo sanno bene Giuseppe Mussari, Antonio Vigni e Gianluca Baldassari, rimossi dalle cariche nel Monte dei Paschi di Siena ben prima che si chiudessero le inchieste della Procura sui buchi di bilancio provocati dall'uso fittizio e dall'abuso dei derivati. Ma lo sanno bene anche a Vicenza, dove il presidente della Popolare, Gianni Zonin, è in arrocco ormai da mesi e soprattutto dopo aver ricevuto un avviso di garanzia che fa seguito alle ispezioni di Bankitalia e della Bce: Zonin non molla, ma intanto ad aver perso il posto è stato Emanuele Sorato, amministratore delegato della Popolare di Vicenza per 13 anni, di cui sette come direttore generale.

E poi c'è il caso più clamoroso e grottesco, quello della Popolare di Spoleto: solo in Italia, a quanto risulta, un Governatore della Banca centrale può essere indagato da un magistrato per truffa e corruzione per aver impedito che un gruppo di azionisti - che per anni avevano lasciato correre o addirittura avallato ogni genere di mala-gestione da parte dell'istituto - si mettessero d'accordo per sponsorizzare una fusione con una misteriosa holding di Hong Kong a dir poco inaffidabile (e sotto tiro Consob per aggiotaggio dopo un falso tentativo di take-over sul Monte dei Paschi). Eppure, invece di calare la lente su chi attaccava Bankitalia perchè temeva probabilmente che con il commissariamento venissero a galla realtà nascoste, si è pensato bene di aprire un'inchiesta contro i vertici di Palazzo Koch. C'è da non crederci. Ma dopo il ridicolo internazionale suscitato dalla richiesta della Procura di Trani di interrogare il presidente americano Barack Obama nell'inchiesta sui rating di Standard & Poor's, in Italia è evidentemente possibile anche questo.

Insomma, comunque la si guardi, la storia di un sistema di vigilanza da rifare - o comunque da mettere sotto verifica - fa acqua da tutte le parti. Certo, ogni sistema è perfettibile e anche il corpo degli ispettori, in quanto composto da uomini, può sempre incappare in errori di valutazione. Ma in nessun Paese del mondo, anche davanti a fatti ben più seri di quelli oggetto delle polemiche contro Ignazio Visco, c'è mai stato un magistrato che abbia indagato il governatore per aver commissariato una banca in dissesto o per averne favorito la fusione con un concorrente più solido e di propria scelta. È una storia che fa il pari con la questione dell'usura: non c'è paese al mondo in cui i vertici di quasi tutto il sistema bancario nazionale siano sotto inchiesta penale perchè un funzionario di una filiale sperduta è accusato di aver imposto a un cliente tassi di interesse più elevati del consentito. C'è forse qualcuno - magistrato o politico - che abbia chiesto l'incriminazione dell'amministratore delegato di JP Morgan, Jamie Dimon, perchè un suo trader di Londra manipolava tassi e valute per incassare maxi-bonus? Neppure un «Torquemada» di Wall Street come Rudolph Giuliani si sarebbe mai spinto così avanti.

Ma anche sull'altro fronte di attacco a Bankitalia, l'eccesso di attivismo nel promuovere fusioni bancarie, il coro dei polemisti rischia di prendere una «stecca»: la stabilità del sistema anche attraverso fusioni è un cardine strategico dell'attività di tutte le banche centrali, al pari della vigilanza. In Europa, negli Usa e persino in Sud America o in Asia, non c'è giurisdizione che non assegni alla Banca centrale l'ultima parola sulle fusioni bancarie, sia per promuoverle che per bloccarle. I soci della Spoleto che hanno denunciato Visco per il commissariamento della Popolare e la sua vendita al Banco Desio, erano forse in grado di chiudere da soli i buchi di bilancio?

Comunque sia, basta dare un'occhiata a quanto avviene nel resto del mondo per dare il giusto inquadramento alla polemica contro Visco. Non è stata forse la Federal Reserve americana imporre la fusione tra Bear Stearns e Jp Morgan per evitare il rischio di un tracollo della banca di investimenti? E non è stata forse sempre la Fed a imporre la fusione tra Merrill Lynch e Bank of America? E qualcuno ha forse indagato Ben Bernanke, l'allora governatore della Fed, per aver impedito il salvataggio di Lehman Brothers? E infine: c'è stato forse qualcuno che ha denunciato il Governatore della Banca centrale inglese per aver “commissariato” la Barings, la Banca della Regina travolta negli anni 90 dalle perdite per operazioni spericolate, o per aver stretto un cordone sanitario intorno alla Royal Bank of Scottland, affondata dalla crisi dei mutui? Gli esempi non mancano, ma il punto è chiaro: tra la critica personale e la denuncia penale - o la richiesta di avere commissioni di inchiesta - c'è una bella differenza. Quando si criticano le istituzioni, il confine tra opinioni e intimidazioni diventa molto sottile.

Come concludere, dunque? Che certamente nessuno, banchieri e authority compresi, è al di sopra della legge. Ma anche che chi applica la legge con i mezzi, gli uomini e i poteri che ha a disposizione, va difeso come un valore per le istituzioni.
alessandro.plateroti@ilsole24ore.com

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