Italia

La proposta Boeri: in pensione anticipata a 63 anni e 7 mesi. Reddito…

  • Abbonati
  • Accedi
NO DI GOVERNO E LAVORO

La proposta Boeri: in pensione anticipata a 63 anni e 7 mesi. Reddito minimo per gli over 55

In pensione anticipata con correzione attuariale sull’assegno a 63 anni e 7 mesi di età, 20 anni di contributi e avendo maturato un importo minimo di 1.500 euro. L’introduzione di un reddito minimo (Sostegno di inclusione attiva) per gli over 55enni rimasti senza impiego. Il ricalcolo per tutte le pensioni retributive con reddito pensionistico superiore a 3.500 euro e ricalcolo anche per i vitalizi. E, ancora, interventi di semplificazione per le contribuzioni aggiuntive e di unificazione delle prestazioni. Con, infine, uno stop ai vantaggi riconosciuti alle contribuzioni dei dirigenti sindacali.

Eccola l’ormai famosa “ultima riforma” delle pensioni firmata dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, e per il momento accantonata dal Governo. Il testo completo della proposta di policy è stato pubblicato ieri sul sito dell’Istituto e arriva dopo le uscite pubbliche degli ultimi giorni di Boeri, con tanto di critiche più o meno esplicite dell’economista milanese per le misure «ancora una volta parziali» sulla previdenza che sono entrate nel disegno di legge di Stabilità. Nel documento di 69 pagine, intitolato “Non per cassa ma per equità”, si propone un ventaglio di interventi (16 articoli con tanto di note tecniche e stime finanziarie elaborate con il modello di simulazione Inps) sicuramente destinati a far discutere.

Come sicuramente ha fatto subito discutere l’iniziativa di Boeri, senza precedenti istituzionali, e che arriva a conclusione del ciclo di audizioni tecniche sulla manovra all’esame della commissione Bilancio del Senato. Ieri fonti di palazzo Chigi hanno fatto sapere che la diffusione delle proposte è stata concordata e che non c’è alcuno «scontro» con l’Inps. Una posizione confermata anche dal ministero del Lavoro con una nota emanata in serata: «Contributo utile ma si è deciso di rinviare perché quel piano, oltre a misure utili come la flessibilità in uscita, ne contiene altre che mettono le mani nel portafoglio a milioni di pensionati, con costi sociali non indifferenti e non equi». L’uscita sarebbe stata decisa in un’ottica di trasparenza per consentire di rendere pubblica una proposta che ha il carattere di un intervento sistemico e che non ha una ricaduta negativa sul debito pensionistico. In ogni caso la proposta Boeri non sarà, almeno in toto, quella che il Governo conta di presentare nel 2016.

Una certa distanza infatti rimane. Basta leggere quanto dice Matteo Renzi a Bruno Vespa per il suo libro “Donne di cuori”: «Alcuni correttivi proposti dall’Inps di Tito Boeri avevano un valore di equità - spiega il premier -: si sarebbe chiesto un contributo a chi ha avuto più di quanto versato. Non mi è sembrato il momento: dobbiamo dare fiducia agli italiani. Se metti le mani sulle pensioni di gente che prende 2.000 euro al mese, non è una manovra che dà serenità e fiducia. Per carità, magari è pure giusto a livello teorico. Ma la linea di questa legge è la fiducia, la fiducia, la fiducia. E, dunque, non si tagliano le pensioni».
Tornando al piano Inps, i primi 11 articoli contengono il pacchetto assistenziale (reddito minimo garantito a partire da 500 euro al mese per famiglia) che punta a dimezzare le condizioni di povertà tra over 55enni che non hanno ancora maturato i requisiti pensionistici. È previsto un contemporaneo riordino delle 8 diverse forme di assistenza oggi erogate dall’Inps e che per il 30%, ovvero circa 5 miliardi - si fa notare nel testo - vanno a beneficio di redditi più elevati. La rimodulazione, con riduzione o ritiro del trasferimento (solo al 9% più ricco) interesserebbe il 15% della popolazione di riferimento (230mila famiglie) permettendo di riallocare perlomeno 1,2 miliardi (i tagli scenderebbero dal 9° decile più ricco con una clausola di salvaguardia fino al 7°).

Sulle pensioni la misura-bandiera è la flessibilità sostenibile in uscita (potrebbe interessare a circa 30mila persone l’anno nei primi anni), in parte coperta con il ricalcolo delle pensioni alte (oltre i 5mila euro al mese) e medio-alte (3.500-5.000 euro) attuarialmente considerate non in linea con i contributi versati (circa 250mila percettori di pensione e 4mila beneficiari di un vitalizio legato a una carica elettiva). Si tratta della «traduzione in norma» delle numerose evidenze empiriche raccolte con l’operazione “Inps a porte aperte” che ha dimostrato i netti scostamenti in diverse gestioni tra assegni vigenti e il loro valore di equilibrio attuariale. Il ritiro anticipato comporterebbe una penalizzazione media dal 3% al 10% annuo rispetto ai requisiti di vecchiaia tramite il ricalcolo della quota retributiva dei montanti (nel testo si fa un esempio su un lavoratore del 1977 che si pensiona nel gennaio del 2016).
Nel calcolo dei costi complessivi delle misure proposte dall’Inps vengono fatti considerare fattori attenuanti come la sostituzione del personale della Pa via pensionamenti flessibili (che produce risparmi) o una propensione al ritiro anticipato inferiore al 100% o, ancora, con l’eventuale introduzione di termini di prescrizione di 5 anni per le domande di ricongiunzione, riscatto trattamento e computo dei regimi assicurativi nel settore scuola. Con queste attenuanti la proposta Boeri costerebbe 150 milioni nel 2016, 1 miliardo nel 2017, 2,5 nel 2018 e 3 miliardi nel 2019. Ma nel caso di propensione al ritiro del 100% (ipotesi di default della Ragioneria generale dello Stato) i costi salgono: il solo regime flessibile imporrebbe una maggiore spesa per 1,4 miliardi nel 2016, 2,7 nel 2017, 3,6 nel 2018, 4,1 nel 2019. Alcune coperture per l’uscita flessibile «potrebbero però essere mitigate» si legge nel dossier, «nel caso in cui si decidesse di ampliare il disavanzo iniziale, tenendo conto che questo sarà compensato con minori disavanzi futuri».