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Politica e doping di Stato: tutti contro la Russia, ma facendo…

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Politica e doping di Stato: tutti contro la Russia, ma facendo attenzione a non scottarsi le dita...

Punto numero uno: se davvero quello appena scoperchiato dalla Wada è un caso di doping di Stato, come sembra vedendo le prove presentate e leggendo i resoconti delle testimonianze, è giusto procedere con la massima durezza.

Punto due: in questo momento tutti si scagliano contro la Russia, ma iniziano a trapelare le prime cautele per non correre rischi di coinvolgimento in uno scandalo che ha probabilmente più facce di quelle messe in mostra finora.

Punto tre: di Stato o privatizzato, il doping è una pratica diffusa ovunque si pratichi sport e purtroppo, tornando indietro con la memoria, nessuna tra le nazioni protagoniste ad alto livello si può permettere di assumere il ruolo di maestro e di giudice super partes.

Ma andiamo con ordine, partendo dal punto uno. La frenesia con cui in Russia si stanno muovendo in queste ore indica due cose: la necessità di presentare il più rapidamente possibile una faccia nuova al mondo dello sport, ammettendo però implicitamente che qualcosa di sporco è stato fatto, e la volontà di non perdere il treno di Rio 2016 su cui Putin, da sempre sostenitore della vetrina olimpica per sostenere l’immagine del Paese, ha puntato molte delle sue carte.

In questa chiave, oltre alla chiusura immediata del laboratorio sotto accusa, vanno lette le immediate dimissioni di Grigory Rodchenkov, l’ex mezzofondista che avrebbe ordinato di far sparire oltre 1400 provette tre giorni prima di una (annunciata) ispezione della Wada. Ma anche l’incontro che lo stesso Putin ha programmato per oggi con Juri Borzakovsky, da pochi mesi a capo della Federazione russa di atletica leggera: un signore che con le medaglie ha un certo feeling, visto che nel 2004 ha fulminato tutta la concorrenza negli 800 metri piani, conquistando l’oro alle Olimpiadi di Atene. Una faccia nuova e pulita che Putin intende far pesare nell’inevitabile braccio di ferro destinato ad aprirsi con la Iaaf, la Federazione internazionale di atletica leggera guidata da Lord Sebastian Coe.

Insomma, sarà impossibile cavarsela con un nulla di fatto, ma almeno Mosca tenta di dare prova di buona volontà facendo le pulizie in casa, in questo caso d’autunno e non di primavera.

E qui si passa al punto due: il Cio, attraverso le parole del presidente Bach, ha fatto sapere che si aspetta iniziative idonee per ricostruire la credibilità del movimento, aggiungendo in una nota di essere pronto a prendere «tutte le misure necessarie per quanto riguarda l’eventuale ritiro e riassegnazione delle medaglie olimpiche, nonché l’esclusione dai futuri Giochi». Come dire: caro Coe, procedi a sospendere la Federazione russa. Indicandola come colpevole diretta e schivando così, almeno per il momento, il tema assai rischioso (per lo stesso Cio) del doping di Stato. Procedere in questa direzione significherebbe infatti coinvolgere il comitato olimpico russo il cui numero uno, Alexander Zhukov, è guarda caso anche il capo della Commissione di coordinamento del Cio per le Olimpiadi di Rio 2016. Da qui il distinguo fatto dal Cio, in un comunicato ufficiale, a proposito delle provette riguardanti i Giochi di Sochi: escludendo che il laboratorio incriminato abbia in quel caso agito in modo irregolare. Se sarà necessario le provette di quel periodo restano a disposizione per nuove analisi, ma per ora è meglio non cercare altra polvere sotto al tappeto.

Nel frattempo l’ex presidente della Iaaf, Lamine Diack, si è dimesso dal ruolo di membro onorario del Comitato olimpico internazionale (Cio). Ieri il Comitato esecutivo lo aveva sospeso, mettendolo sotto inchiesta con l’accusa di aver intascato soldi per insabbiare i casi di doping di atleti russi.

Punto tre, e siamo alla conclusione: purtroppo il doping è una regola dello sport ad alto livello fin dai tempi antichi. La differenza è che nei tempi moderni è stato proibito ed è uscito dall’ambito casalingo per approdare alle segrete stanze dei laboratori di ricerca. Già nell’antica Grecia gli atleti usavano tutto quello che la natura, e la sapienza dei praticoni di allora, metteva a loro disposizione per migliorare forza e resistenza.

E, tanto per restare a casa nostra, ricordiamo la bellissima presenza di Gino Bartali e Fausto Coppi al Musichiere, nella quale al suono di una canzonetta Ginettaccio accusava (sorridendo) l’amico-rivale di aver preso droghe eccitanti per pedalare invincibile sulle rampe del Giro e del Tour. Confesserà, anni più tardi, di averci provato anche lui una sola volta: e di essere stato così male da aver scartato l’idea.

Dai tempi eroici si è passati alle alchimie degli ultimi decenni, che hanno visto coinvolti praticamente tutti i Paesi con campioni in grado di arrivare sul podio, alle Olimpiadi o in altre competizioni internazionali, nell’atletica e in molti altri sport. Fin troppo facile parlare di Armstrong e del ciclismo, con tutto il sistema di coperture che hanno garantito all’americano di infilare sette Maglie gialle. Oppure ricordare il coinvolgimento dei velocisti giamaicani che sgambettano intorno a Usain Bolt, almeno lui rimasto pulito dall’alto dei quasi due metri di statura (e tre di falcata) che madre natura gli ha regalato. Giova sottolineare che il suo diretto rivale, Justin Gatlin, è stato pescato per ben due volte (anfetamine e testosterone) prima di tornare alle gare con tempi migliori di quelli che otteneva da giovane.

Potremmo parlare di Florence Griffith, il cui ricorso al doping non è mai stato dimostrato, che è morta prematuramente dopo aver firmato due record del mondo nei 100 e 200 metri: 10”40 e 21”34, per chi non lo ricordasse, che significano ancora oggi asfaltare in modo impietoso qualsiasi rivale. E arrivare a mani basse nelle finali di entrambe le specialità dei campionati italiani: maschili, ovviamente.

Dall’armata cinese di Ma, che sconvolse il mondo del mezzofondo, al caso del nostro Alex Schwazer che si è dopato perchè lo facevano anche i russi e lui non ci stava a perdere in modo disonesto, potremmo scrivere libri interi sugli atleti e sugli sport che hanno visto sporcata la propria immagine. Doping di Stato, vero o presunto, per i Paesi dell’Est. Doping privatizzato per quelli Occidentali, come si deve nelle economie di mercato.

Ma alla fine verrebbe da dire: chi è senza peccato scagli la prima pietra. Oppure, come inevitabilmente accadrà nelle prossime settimane, scagliamola facendo attenzione. Qualcuno potrebbe farsi male, ed essere il qualcuno sbagliato.

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