«Oggi ho fiducia nel sistema giudiziario italiano che sta cercando i responsabili e ringrazio la procura di Perugia che è stata molto autonoma e diligente nelle sue indagini: è stato fatto un lavoro molto serio per la ricerca della verità dietro il rapimento mio e della mia bambina». Così Alma Shabalayeva (la moglie del dissidente kazako Ablyazov espulsa dall'Italia il 31 maggio del 2013) ha commentato gli sviluppi dell'inchiesta di Perugia. La procura del capoluogo umbro ha recapitato un avviso a comparire con un capo di imputazione clamoroso: sequestro di persona (oltre al falso) al questore di Rimini, Maurizio Improta e al capo dello Sco (servizio centrale ispettivo), Renato Cortese. Nella vicenda sono indagati anche cinque poliziotti e il giudice di pace di Roma Stefania Lavore. La procura di Perugia aveva ricevuto per competenza il fascicolo dai colleghi di Roma. Il reato ipotizzato per gli inquirenti romani però era il falso: nessuno si attendeva che il livello dell'accusa salisse così in alto.
Shalabayeva, funzionari sapevano chi era ma non lo avrebbero detto
Renato Cortese, Maurizio Improta e altri due dei poliziotti indagati per la vicenda Shalabayeva, avrebbero omesso (secondo gli inquirenti) di attestare che la donna si identificava come moglie del dissidente-ricercato kazako Ablyazov pur conoscendone le sue generalità. Per questo sono accusati, oltre che di sequestro di persona, anche di omissione di atti d'ufficio e falso.
Falsi lasciapassare con foto fornite da polizia
Non solo. I lasciapassare forniti dalle autorità del Kazakistan per l'espatrio di Alma Shalabayeva e della figlia Alua sarebbero stati realizzati apponendovi le foto tratte dal passaporto centrafricano della donna sequestrato. È quanto emerge dall'inchiesta di Perugia, secondo cui due dei funzionari di polizia indagati avrebbero consegnato copia delle foto ad un addetto dell'ambasciata kazaka.
I vizi rilevati dalla Cassazione
Quell'espulsione della Shalabayeva, insomma, nonostante tutte le documentazioni fornite dagli uomini della Polizia di Stato, Improta in primis, non ha convinto la procura di Perugia. Già la Cassazione, nel luglio dell'anno scorso, l'aveva definita viziata «da manifesta illegittimità originaria». Il punto è che il reato di sequestro presuppone uno o più mandanti. Tra le ipotesi in campo, quella che la presunta operazione di sequestro della moglie del dissidente kazaco sarebbe stata compiuta dai poliziotti insieme a una serie di funzionari dell'ambasciata del Kazakistan. A Roma, però, gli inquirenti erano giunti a conclusioni opposte: con una richiesta di archiviazione al gip nei confronti di tre rappresentanti diplomatici del Kazakistan (l'ambasciatore a Roma Andrian Yelemessov, il consigliere degli affari politici Nurlan Khassen e l'addetto agli affari consolari, Yerzhan Yessirkepov) indagati per sequestro di persona.
Cortese (Sco): sono sereno
Per il pm romano Eugenio Albamonte dalle indagini non erano emerse le prove di pressioni e interferenze che i tre diplomatici avrebbero esercitato sui funzionari della Questura e del Viminale quando la signora Shalabayeva e la piccola vennero prelevate dalla loro casa alle porte di Roma. La procura capitolina, invece, aveva iscritto nel registro degli indagati cinque poliziotti dell'ufficio immigrazione per falso ideologico e omissione d'atti d'ufficio. Renato Cortese ha dichiarato all'Ansa: «Sono assolutamente sereno e ho la massima fiducia nell'operato della magistratura, sono fiducioso di poter chiarire al più presto la mia posizione».
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