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Francesco nella Sinagoga di Roma: ebrei nostri fratelli e sorelle maggiori

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storica visita del papa

Francesco nella Sinagoga di Roma: ebrei nostri fratelli e sorelle maggiori

Appuntamento con la storia, almeno quella dei rapporti tra cristiani ed ebrei, alle 16 di oggi, quando Papa Francesco - terzo Pontefice dopo Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a compiere questo gesto nella storia della Chiesa - ha iniziato la sua visita alla Sinagoga di Roma, a Largo XVI ottobre. Luogo che anche nel nome ricorda il rastrellamento del Ghetto nel 1943. Accolto da un lungo appaluso, parlando dalla Tevà (la tribuna da cui si legge la Torà), Francesco ha iniziato il suo intervento con un saluto alla sala gremita: «todà rabbà», grazie tante per la calorosa accoglienza, le stesse parole ebraiche pronunciate da Giovanni Paolo II nel 1986.

La citazione di Giovanni Paolo II: fratelli e sorelle maggiori nella fede
«Voi siete i nostri fratelli e le nostre sorelle maggiori nella fede». Papa Francesco ha salutato così gli ebrei romani - e questa volta anche le ebree - ricordando «la bella espressione “fratelli maggiori”» già usata da Giovanni Paolo II. «Tutti quanti apparteniamo ad un'unica famiglia, la famiglia di Dio, il quale ci accompagna e ci protegge come suo popolo», ha poi affermato Francesco, sottolineando che «insieme, ebrei e cattolici», sono chiamati ad assumersi le loro responsabilità per questa città, apportando il loro contributo, anzitutto spirituale, e favorendo la risoluzione dei diversi problemi attuali». «Mi auguro - ha aggiunto - che crescano sempre piu' la vicinanza, la reciproca conoscenza e la stima tra le nostre due comunità».

Il no della Chiesa «ad ogni forma di antisemitismo»
Il Papa ha poi ribadito il no della Chiesa «ad ogni forma di antisemitismo», e la condanna «di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano». Poi ha aggiunto: «La violenza dell'uomo sull'uomo è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche». «Nè la violenza nè la morte avranno mai - ha quasi gridato il Papa - l'ultima parola davanti a Dio, che è il Dio dell'amore e della vita. Noi dobbiamo pregarlo con insistenza affinchè ci aiuti a praticare in Europa, in Terra Santa, in Medio Oriente, in Africa e in ogni altra parte del mondo la logica della pace, della riconciliazione, del perdono, della vita».

Il ricordo della Shoah e dei sei milioni di ebrei uccisi dai nazisti
In uno dei passaggi finali del suo intervento, il Papa ha ricordato con parole commosse i sei miliondi di ebrei sterminati dalla Shoah: «Solo perchè appartenenti al popolo ebraico, sono state vittime della piu' disumana barbarie, perpetrata in nome di un'ideologia che voleva sostituire l'uomo a Dio». Il popolo ebraico, nella sua storia - ha detto ancora il Papa - «ha dovuto sperimentare la violenza e la persecuzione, fino allo sterminio degli ebrei europei durante la Shoah. Il 16 ottobre 1943, oltre mille uomini, donne e bambini della comunita' ebraica di Roma furono deportati ad Auschwitz». «Oggi - ha scandito il Papa - desidero ricordarli in modo particolare: le loro sofferenze, le loro angosce, le loro lacrime non devono mai essere dimenticate».

«Il passato ci serva da lezione per il presente e per il futuro»
Il passato - ha affermato Francesco al termine del suo discorso - «ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro». Nella conclusione, il Papa ha poi assicurato: «Dio ha per noi progetti di salvezza, come dice il profeta Geremia. Progetti di pace e non di sventura, per concederci un futuro pieno di speranza». «Che il Signore - ha invocato - ci benedica e ci protegga. Faccia splendere il suo volto su di noi e ci doni la sua grazia. Rivolga su di noi il suo volto e ci conceda la pace. Shalom alechem!», ovvero «che la pace sia su di voi». Parole accolte da un caloroso appaluso della sala, che più volte ha interrotto con battimani il discorso del Pontefice.

L’incontro con la comunità ebraica romana
Ad accogliere il Papa, questo pomeriggio, c’erano il presidente della Comunità ebraica romana, Ruth Dureghello, il leader dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, e il presidente del Museo della Shoah, Mario Venezia.

Dureghello: la fede non genera odio, la fede non sparge sangue
L'incontro di oggi «dimostra che il dialogo tra le grandi fedi è possibile». Questo uno dei passaggi più significativi del discorso di benvenuto a papa Francesco in sinagoga pronunciato dalla presidente della Comunità ebraica, Ruth Dureghello, sottolineando come la distanza tra la sinagoga e San Pietro «seppur breve, è sembrata per secoli incolmabile». Per Dureghello, la visita del Santo Padre «non porta con sé il segno dei ritualismi», ma costituisce «una tappa importante, in un momento delicato in cui le religioni devono rivendicare uno spazio nella discussione pubblica per contribuire alla crescita morale e civile della società». «Con questa visita ebrei e cattolici - ha continuato Dureghello - lanciano oggi un messaggio nuovo rispetto alle tragedie che hanno riempito le cronache degli ultimi mesi. La fede non genera odio, la fede non sparge sangue, la fede richiama al dialogo».

Gattegna: momento difficile, ebrei e cristiani accumunati da stesso destino
«Alzando lo sguardo al panorama internazionale, che ci circonda e tanto ci condiziona, appare chiaro che in questo difficile momento cristiani ed ebrei sono accomunati dallo stesso destino», ha detto il presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, nel suo discorso al cospetto del Papa in sinagoga. «Cristiani ed ebrei - ha sottolineato poi - sono costretti a difendersi da spietati nemici, violenti e intolleranti, che stanno usando il nome di Dio per spargere il terrore compiendo i più atroci crimini contro l'umanità». Secondo Gattegna, «la salvezza per tutti può venire solo dalla formazione di una forte coalizione, basata sulla condivisione di alti valori etici quali il rispetto della vita e la ricerca della pace, che sia in grado di vincere questa sfida, camminando tutti, fianco a fianco, nel rispetto delle diversità, ma al tempo stesso consapevoli dei molti valori, principi e speranze che ci uniscono».

Di Segni: un atto ripetuto tre volte diventa chazaqa', consuetudine fissa
Nel suo intervento in Sinagoga, Di Segni ha invece ricordato al Papa come questa sia la «terza visita di un papa e vescovo di Roma» la Tempio capitolino, e «secondo la tradizione giuridica rabbinica, un atto ripetuto tre volte diventa chazaqa', consuetudine fissa». Quello compiuto da Francesco è dunque «decisamente il segno concreto di una nuova era dopo tutto quanto è successo nel passato». Di Segni ha quindi voluto ricordare «la svolta sancita dal Concilio Vaticano cinquanta anni fa» nei rapporti tra cristiani ed ebrei, svolta poi confermata «da numerosi e fondamentali atti e dichiarazioni», che hanno «prima aperto e poi consolidato un percorso di conoscenza, di rispetto reciproco e di collaborazione».

Gli altri gesti del Papa prima di entrare nel Tempio maggiore
Toccante e seignificativi anche i gesti compiuti dal Papa prima di fare il suo ingresso nel Tempio maggiore. Dopo aver deposto una corona di fiori sulla lapide che ricorda la deportazione degli ebrei romani nel 1943, Francesco ha infatti percorso via Catalana, fino all'effige in ricordo di Stefano Gai Taché, il bambino ucciso in un attentato terroristico del 1982. Anche qui ha deposto una corona di fiori e ha incontrato la famiglia Taché e i feriti nell'attentato. Poi l'ingresso al Tempio Maggiore, accolto sulla scalinata dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, e l'incontro con la Comunità romana e con gli esponenti di diverse Comunità ebraiche d'Europa.

Ghetto e lungotevere “blindati” dalle Forze dell’ordine
Imponenti le misure di sicurezza che accompagnano uno dei momenti più significativi dell’Anno giubilare iniziato l’8 dicembre scorso: l'intera area attorno alla Sinagoga è blinadata con una “zona rossa” presidata dalla forze dell’ordine, e l'antico Ghetto ebraico è sorvegliato da un imponente schieramento di oltre 800 uomini (tra Polizia, Carabinieri, compresi tiratori scelti, Polizia fluviale e unità a cavallo) che presidiano la zona e i varchi per l’accesso tramite metal detector. Chiuso al traffico e anche ai passanti il Lungotevere che fiancheggia l'isola Tiberina. Controlli rigorosi da parte delle Forze dell'ordine e verifiche su zaini, borse e tasche sia per il pubblico che per le persone con invito.

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