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Dossier Sei Nazioni, il rugby d'Europa prova a rialzare la testa

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Dossier | N. 70 articoliRugby / Speciale 6 Nazioni

Sei Nazioni, il rugby d'Europa prova a rialzare la testa

Meno male che c'è il Sei Nazioni, Per rinfrescarsi la mente e ripartire niente di meglio del superclassico ovale, del torneo che per prestigio, fascino e tradizione non teme confronti. Un'avventura a cavallo fra tre secoli (e due millenni), avviata senza una vera ufficialità 133 anni orsono, con una prima serie di confronti incrociati tra le quattro “Home Unions”: Inghilterra, Irlanda, Scozia e Galles. Le partite si giocarono tra il 16 dicembre 1882 e il 3 marzo 1883, con il successo finale degli inglesi. La Francia si aggiunse nel 1910, dal 1931 fu esclusa per il peccato mortale di professionismo e infine nel 1947, prima edizione post-bellica, venne definitivamente riammessa. Da quattro a cinque nazioni, fino all'attuale formula a sei, grazie all'allargamento all'Italia, avvenuto nel 2000.
Ed eccoci qui, la festa continua, l'appuntamento non si può mancare, ancora di più quest'anno: perché c'è un'autostima da ricostruire addirittura a livello di continente. Il 2015, con i Mondiali disputati nel Regno Unito, ha messo l'Europa davanti a una durissima realtà: per la prima volta le semifinali sono state monopolizzate dalle quattro grandi Nazionali dell'emisfero Sud: in otto edizioni della World Cup non era mai successo, anche se la prevalenza dell'”altro mondo” si è (quasi) sempre fatta sentire e solo l'Inghilterra - nel 2003, in Australia - ha rotto l'egemonia portata avanti di volta in volta da Nuova Zelanda, Australia e Sudafrica.

Non rimane che ripartire, un po' incerottati nel morale ma anche nel fisico, visti i tanti infortuni che condizioneranno la maggior parte delle squadre. Sulla carta l'Italia risulta purtroppo uno dei gruppi più colpiti dalle defezioni forzate, praticamente in tutti i reparti.

C'è anche un ritiro eccellentissimo: quello di Mauro Bergamasco, che sveste la maglia azzurra dopo averla indossata per cinque Coppe del Mondo consecutive (eguagliato il record del samoano Brian Lima). A proposito di addii, più numerosi del solito perché parte un nuovo ciclo quadriennale, citiamo per tutti Paul O' Connell, l'ultimo totem della “O' generation” irlandese, dove spiccavano anche il talento e la personalità di Ronan O' Gara e Brian O' Driscoll.

O' Connell lascia dopo avere sollevato, da capitano, il trofeo nel 2014 e nel 2015. Se i verdi vincessero per la terza volta di fila realizzerebbero un'impresa mai riuscita dal XIX secolo a oggi. Ma il compito è difficile, anche perché il calendario, pur prevedendo tre partite in casa e due in trasferta, impone al nuovo capitano Rory Best e ai suoi compagni di affrontare Francia e Inghilterra sul loro terreno.

Guardando da un lato alle partite da giocare e dall'altro ai piazzamenti ottenuti nel Sei Nazioni, cioè dal 2000 in poi, si può pensare a una possibile prevalenza della Francia, che negli anni pari gioca tre partite in casa, compreso lo scontro per eccellenza con l'Inghilterra. I Galletti sono arrivati primi nel 2002, nel 2004, nel 2006 e nel 2010 ma poi il trend positivo si è interrotto. Vedremo se il nuovo ct Guy Novès sara in grado di riattivarlo.

Novès è uno dei due tecnici alla prima esperienza nel Sei Nazioni: l'altro è l'australiano Eddie Jones, ingaggiato dalla federazione inglese. La posizione più curiosa è quella del ct azzurro Jacques Brunel che, a Mondiale appena finito, dirigerà la squadra ancora in questo Sei Nazioni e poi lascerà. Nessuna scadenza a breve, invece, per Warren Gatland, Joe Schmidt e Vern Cotter, rispettivamente alla guida di Galles, Irlanda e Scozia. Un terzetto con qualcosa in comune? Certo, sono tutti neozelandesi.

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