In principio fu Lansdowne Road, il terreno di gioco più antico del Sei Nazioni, dove la prima partita di rugby venne giocata nel 1876, tra le rappresentative regionali del Leinster e dell'Ulster. Lo stadio di Dublino era noto, tra l'altro, per avere una stazione ferroviaria sotto la tribuna principale, che tremava al passaggio dei treni. Un tempio per il rugby e il calcio irlandesi, demolito nel 2007 allo scopo di fare spazio a un impianto completamente nuovo, dove i rugbysti azzurri giocheranno domani pomeriggio.
Per tre anni anche il Sei Nazioni si trasferì al Croke Park, stadio da 82mila spettatori riservato agli sport tipicamente irlandesi (l'hurling, che somiglia all'hockey su prato, e il football gaelico, una specie di misto tra calcio e rugby) e vietato per quasi 90 anni alle discipline nate nella vicina Inghilterra: il bando fu stabilito dopo la “bloody Sunday” del 21 novembre 1920, quando ausiliari della polizia britannica uccisero 13 spettatori e un giocatore durante una partita di football gaelico. A Croke Park l'Irlanda dell'ovale ha fatto in tempo a infliggere una sconfitta storica proprio agli inglesi (43-13, nel 2007) e a vincere, nel 2009, un trofeo che le sfuggiva da quasi un quarto di secolo. Poi è venuto il momento di tornare, in una casa nuova e avveniristica che però ha lo stesso indirizzo di prima: Lansdowne Road.
La struttura garantisce oltre 50mila posti a sedere e per non togliere luce alle case circostanti ha il tetto trasparente e una forma curvilinea, simile a un'onda. Il disegno è di Populous, studio di architettura statunitense specializzato in impianti sportivi, autore tra gli altri del progetto dello Stadio Olimpico di Londra. Un'opera da 410 milioni di euro, all'avanguardia dal punto di vista tecnologico e in grado di massimizzare i profitti, visto che ospita non solo incontri di calcio e rugby, comprese alcune finali di Coppe europee (le due federazioni nazionali detengono al 50% l'impianto), ma anche concerti di star internazionali.
Secondo uno studio l'impatto annuo della nuova opera sull'economia locale - grazie al richiamo degli eventi che si succedono con frequenza - sarebbe attorno ai 250 milioni di euro. Ma certo le spese di gestione non mancano e la pratica del “naming” viene in soccorso: così, almeno fino al 2019, le Nazionali in maglia verde giocheranno in quello che ora si chiama Aviva Stadium.
Lo sponsor è il gruppo assicurativo leader in Gran Bretagna, con 300 anni di storia alle spalle e 34 milioni di clienti nel mondo. Presente in 16 Paesi, per lunghissimo tempo si è chiamato Norwich Union in Inghilterra e Hibernian in Irlanda, mentre in Italia è attivo dal 1921 e ha operato fino al 2006 con i brand Commercial Union e Northern. Nell'Isola di Smeraldo Aviva ha una quota di mercato attorno al 15 per cento. Il rugby, in particolare, è considerato in grado di attirare una clientela di profilo socio-economico alto, interessata soprattutto ai prodotti assicurativi dei rami Vita e Salute.
Nessuna cifra trapela ma, secondo quanto risulta, la sponsorizzazione dello stadio dublinese costerebbe circa 44 milioni di euro su un arco di 10 anni. E l'operazione viene considerata un successo, perché è stata un modo per significare il “commitment” nei confronti dell'Irlanda da parte di una compagnia con sede nel Regno Unito, e la scelta di uno stadio anziché di un singolo team permette di non dipendere troppo dai risultati ottenuti sul campo.
Allo stesso modo, in effetti, sempre sul piano rugbystico Aviva dà il nome alla Premiership, il massimo campionato inglese (che è, con il Top francese, il campionato nazionale per club più importante al mondo). Qui l'investimento, su base quadriennale, sarebbe di circa 20 milioni di sterline.
E in Italia? “Aviva crede fortemente nell'importanza dello sport come momento di crescita e di aggregazione, come stile e lezione di vita tanto per gli adulti quanto per le nuove generazioni”, dice Louis Roussile, marketing, communication and digital director di Aviva nel nostro Paese. Dove il gruppo conta oltre 550 dipendenti e si appoggia a una rete di 500 agenzie plurimandatarie e broker, più diversi network di promotori finanziari, e agisce attraverso partnership con alcuni dei più importanti gruppi bancari. Secondo i dati appena diffusi, in Italia Aviva ha chiuso il 2015 confermando il trend positivo già evidenziato nel primo semestre, con un utile operativo in rialzo dell'11 per cento (da 205 a 227 milioni di euro) e un dividendo a favore della capogruppo che è salito da 40 a 62 milioni.
Così come avviene anche all'estero, le sponsorizzazioni sportive spaziano su varie discipline, di squadra e individuali: per esempio Aviva fa parte della compagine degli sponsor della VL Pesaro (serie A di basket) ed è main sponsor del Chicken Cus Pavia (alle prese con una “difficile” stagione di esordio nella serie A femminile di rugby); con un'altra operazione, poi, si è di recente legata a Niccolò Antonelli, tra le giovani stelle del mondiale di Moto3.
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