Un pomeriggio con un campione di lungo corso, che ha appena lasciato l'attività agonistica e si dedica completamente a quanto - da sportivo professionista del terzo millennio - aveva già cominciato a fare mentre giocava a rugby.
I ragazzi che frequentano il Master in Sport business management della 24 Ore Business School si sono confrontati ieri con Mauro Bergamasco, 37 anni da compiere, 106 presenze in Nazionale, cinque Coppe del Mondo giocate (record a livello planetario, detenuto alla pari con il samoano Brian Lima), due scudetti vinti in Italia con il Benetton e due titoli transalpini conquistati con lo Stade Francais.
L'autore di mete storiche, il protagonista di momenti importanti dell'ovale azzurro dal 1998 a... ieri, cioè alla Rugby World Cup 2015. Mauro ha vissuto tutta l'evoluzione da un rugby che, sia pure di alto livello, era sì e no semiprofessionistico fino al professionismo a tempo pieno, a 360 gradi: in campo, in palestra e, si può dire, nella vita di tutti i giorni. Con tutto quello che questo comporta per un personaggio che diventa mediaticamente appetibile. Spesso in coppia con il fratello Mirco è stato testimonial pubblicitario, ha creato una linea di abbigliamento, ha scritto un paio di libri e promosso un Campus estivo che porta il suo nome ed è dedicato ai giovani rugbysti. Ora è entrato anche nella squadra dei commentatori televisivi di DMax, il canale che trasmette le partite del Sei Nazioni e i match giocati dagli Azzurri nella finestra internazionale di novembre, e si sta muovendo sul versante della comunicazione in ambito aziendale. A fare da collante c'è la M2M, società di cui Mauro è contitolare, che gestisce e organizza questa serie di attività, avvalendosi di un team di esperti.
Numerosi i temi trattati, così come le domande degli allievi del Master. L'incontro avviene mentre è ancora in corso un Sei Nazioni particolarmente amaro per l'Italia e - partendo dal dato che è sotto gli occhi di tutti, con una Nazionale non all'altezza delle altre e un pacchetto di mischia che ha smesso di essere il nostro (unico) vero punto di forza - Mauro sgombra il campo dall'idea che possano esserci ricette a cottura rapida: “Si può parlare di singoli aspetti del movimento -dice - ed esaminare, ad esempio il meccanismo e il funzionamento delle due franchigie, Zebre e Benetton. Ma la verità è che una strada per arrivare in breve tempo ad avere risultati decisamente migliori non esiste. Per superare un momento oggettivamente difficile servono una buona programmazione e la volontà di andare insieme nella stessa direzione”.
Peraltro, Bergamasco invita a cercare spiegazioni facendo un passo indietro e sollecitando una riflessione che può valere per tutte le discipline. Ed ecco che “sport a scuola” diventa la formula chiave per spiegare successi e insuccessi di intere nazioni. “Nei Paesi anglosassoni - ricorda - la formazione a livello psicomotorio è affidata alla scuola, che dà la possibilità di conoscere e praticare più sport. E questo è un bagaglio che ci si porta dietro tutta la vita”.
Il primo varco, quasi impossibile da colmare, si apre qui. Per il rugby, poi, c'è un complesso di tradizioni che gioca tutto a favore dei nostri rivali nel Sei Nazioni. Ma questo sport ha un appeal sempre più forte anche da noi, è apprezzato dai ragazzi e dalle loro famiglie. Il fattore economico potrà deteriorare questa situazione? “Qualcosa cambierà ed è già cambiato - è la risposta - però certe barriere positive non cadranno se il rugby di base, con i suoi educatori, saprà dare dei “servizi” di qualità ai bambini che si avvicinano. Non mi piace parlare di “valori” ma piuttosto di “princìpi” che devono essere insegnati, passando anche attraverso l'esempio che i giocatori più noti sono tenuti a dare. Ma poi i servizi fondamentali devono essere anche di altro tipo, a partire dalle infrastrutture, un problema davvero grande per tante piccole società. Anche qui c'è un gap da ridurre”.
Si parla di Nazionali e di club, del rugby francese come quello più ricco del mondo (senza tetti salariali e con una multinazionale dei campioni come il Tolone): non si può non accennare agli ingaggi, in ordine di grandezza. Cifre lontane da quelle delle stelle del calcio. Se il contratto più lucroso con un club (cui si aggiunge tutta la parte legata ai diritti d'immagine) è quello di Dan Carter, campione del mondo neozelandese, che si avvicina al milione di euro nel Racing Club di Parigi, “all'estero - spiega Mauro - i migliori italiani si possono avvicinare a metà di quella cifra mentre a livello di Zebre e Benetton si va da un minimo di 50mila a un massimo di 150-160mila euro all'anno”. Rimane semiprofessionismo, invece, quello del campionato di Eccellenza, “con cifre che non giustificano il ricorso a un procuratore”.
Non mancano i quesiti di carattere più “sportivo”. La prova televisiva? “E' stata introdotta alcuni anni fa, in certi casi viene usata un po' troppo spesso, ma serve tra l'altro a dissuadere dal commettere falli che rallentano il gioco. In questo modo si viene incontro al pubblico, che vuole velocità, fluidità, spettacolo”. La mischia come fase di gioco messa sotto osservazione? “C'è chi, soprattutto nell'emisfero Sud, vorrebbe arrivare praticamente ad abolirla o a mantenerla come semplice fase di ripresa del gioco, ma questa tendenza non è passata”. E per fortuna. L'Inghilterra che torna a vincere il Sei Nazioni? “Sì, il trofeo l'hanno già in tasca, ma ora proveranno a fare il Grande Slam (cinque partite e cinque vittorie, ndr) superando anche la Francia a Parigi. E' un fattore di prestigio, certamente, ma porta con sé anche un milione in più da parte della Six Nations Rugby Ltd”. Quando dice sport e business...
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