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Dossier | N. 70 articoliRugby / Speciale 6 Nazioni

Adieu Brunel, il ct francese dell'Italrugby lascia dopo 4 anni e 50 partite

Jacques Brunel (Afp)
Jacques Brunel (Afp)

Jacques Brunel lascia la guida della Nazionale italiana di rugby. Dopo poco più di quattro anni e 50 test match (11 vittorie e 39 sconfitte), la Federazione italiana rugby, con il presidente Alfredo Gavazzi, ha ufficializzato la conclusione della collaborazione con il tecnico francese. Insieme a Brunel lascerà il ruolo di allenatore dei trequarti della Nazionale Philippe Berot, che era arrivato in Azzurro a maggio 2012. L'annuncio è giunto a pochi giorni dalla conclusione del Sei Nazioni 2016 e prima che la Fir sveli ufficialmente il nome del suo successore. Mai addio è stato tanto scontato, anche perché sulla scadenza del contratto di Brunel si sapeva già tutto e, alla luce dei risultati della Nazionale negli ultimi Sei Nazioni e ai Mondiali che si sono giocati in Inghilterra lo scorso autunno, ormai il tecnico aveva le ore contate. Già lo scorso anno, dopo la chiusura del torneo, erano arrivate da più parti domande e richieste di dimissioni. Brunel però non ci ha mai pensato, è andato dritto per la sua strada, passando per una Coppa del mondo con più ombre che luci e per una delle esperienze più negative di sempre dell'Italia nella serie A del rugby europeo.

Da quando gli Azzurri sono stati ammessi a giocatore il torneo ovale più antico del mondo, non avevano mai incassato 29 mete come quest'anno e non avevano mai chiuso con una differenza punti tra quelli fatti e quelli subiti che si è attestata a -145. E pensare che nel 2013, quando Brunel era alla sua seconda stagione, aveva regalato al rugby italiano una delle annate più belle, con le vittorie su Francia e Irlanda in uno Stadio Olimpico strapieno. All'epoca dichiarò che per gli Azzurri poteva essere possibile arrivare nell'arco di due anni al trionfo nel torneo. Oggi non potremmo essere più distanti da quel risultato. Forse anche per questo cambio di passo è difficile fare un bilancio per lo stesso Brunel. Se dal punto di vista umano e dell'ambiente, il voto che il tecnico darebbe alla sua esperienza italiana è “alto”, non si può dire altrettanto per quelli che sono stati gli esiti dal punto di vista sportivo. “È stata una grande esperienza umana e professionale, ringrazio la Federazione per avermi dato questa possibilità e per avermi sostenuto in queste cinque stagioni”, ha affermato Brunel quest'oggi in occasione di una conferenza stampa a Milano. “Volevamo dare a questa Nazionale un equilibrio nel gioco e l'ambizione di sfidare ogni avversario: non sempre abbiamo giocato il rugby che avremmo voluto, ma lascio un'Italia con la voglia di scendere in campo per imporre sempre qualcosa nei confronti della squadra che ha di fronte”, ha aggiunto il tecnico, ricordando che “un vecchio giocatore una volta mi ha detto che il rugby è uno sport dove c'è un pallone e ci sono gli uomini: quando non c'è più il pallone, rimangono gli uomini. Porterò sempre con me il ricordo del rugby italiano e delle persone che sono state al mio fianco in questa avventura”.

Come ha proseguito Alfredo Gavazzi, “sotto la sua guida 43 giocatori hanno debuttato in azzurro e sono state poste le basi per un ricambio generazionale”. E se questo ricambio era prevedibile rispetto a quando Brunel è arrivato sulla panchina italiana, tra i Mondiali 2015 e il Sei Nazioni è stato anche un po' forzato. Come è stato ricordato da Brunel e Gavazzi sono state 19 le novità tra il gruppo che ha preparato la Coppa del Mondo e quello che è arrivato al torneo di febbraio-marzo, anche a causa di tanti infortuni, forse troppi. Se per Venditti e Benvenuti vale il fatto che, come ha detto l'ormai ex ct, “hanno giocato poco con i loro club e se non sono in grado di giocare nella loro squadra, non possono giocare in Nazionale”, ci sono poi casi come quello di Favaro: “Ha chiesto lui di avere un periodo di stop”, ha spiegato Gavazzi, sottolineando che “non ha detto addio alla Nazionale ma ha detto che non se la sentiva sul piano mentale” e anche Aguero, con il trasferimento e la famiglia che si stava allargando, aveva chiesto una “tregua”. Quando si parla di atleti che sono andati all'estero, la Federazione ha poca voce in capitolo su preparazione e minutaggio in campo, anche se l'uscita dai confini per esempio di Campagnaro, a lui ha fatto solo bene dal punto di vista del gioco, per quanto il presidente Gavazzi dica che “quando un giovane italiano va all'estero mi dà fastidio perché è una sconfitta per il rugby italiano”, il nodo è nelle franchigie. Guardando al Pro12 e a Zebre rugby e Benetton Treviso, visto l'impegno economico federale, ci vorrebbe un rapporto migliore e la volontà di perseguire gli stessi obiettivi. “Lo staff della Nazionale deve lavorare con le franchigie, deve essere come una continuazione”, ha detto il presidente in quella che è sembrata più una speranza che una realtà. Infatti, per quanto Brunel abbia riconosciuto che “il rapporto tra la Fir e le franchigie è cambiato”, sotto la sua gestione non è stato privo di ostacoli e anzi con la Benetton fino a quest'anno “non c'è mai stata sinergia”, mentre “in futuro la capacità di crescita del rugby italiano sta proprio là”. Prima di chiedere una terza franchigia in Pro12 e di comprare ormai ex giocatori, che di glorioso hanno solo il nome e il passato, sarebbe il caso di dare pieni poteri a chi prenderà il posto di Brunel anche sul gioco delle squadre italiane di Pro12, per creare quelle sinergie che tanto mancano e servirebbero, e se qualche ragazzo verrà scelto da club esteri, considerarla come una opportunità di crescita per lui e per la Nazionale, non come un fallimento. Che i fallimenti sono altri.

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