L’unico dribbling che non gli è riuscito è stato quello contro la malattia, combattuta a lungo e con la tenacia che gli era caratteristica. Ci lascia così a 68 anni, troppo presto per il mondo di oggi brulicante di brillanti e arzilli ultraottantenni. Ma in fondo Johann Cruyff le cose le ha sempre fatte così, troppo presto rispetto agli altri.
A nessuno sarebbe mai venuto in mente di cercare un fenomeno del calcio mondiale in un piccolo negozio di frutta e verdura della periferia di Amsterdam. Ma chiunque l’abbia visto inseguire un pallone per la strada, già all’età di cinque anni, ci ha messo poco per scommettere su un futuro da superstar per quel piccolo olandese che faceva miracoli con entrambi i piedi.
Rimasto orfano di padre a soli 12 anni, trovò un posto di lavoro per la mamma come donna delle pulizie. Dove? All’Ajax, ovviamente, visto che lui da un paio d’anni militava nelle giovanili della società con cui sarebbe cresciuto fino a diventarne il simbolo.
Elegante, anzi elegantissimo, ma al tempo stesso potente, anzi potentissimo. E velocissimo, ovviamente, capace di partire con la palla al piede superando di scatto avversari che non avevano scampo pur correndo senza l’impaccio del pallone da controllare. Vero prototipo del giocatore moderno, nato con caratteristiche che anticipavano i tempi di almeno trent’anni. Erano gli Anni 70, lui giocava nel terzo millennio.
Centravanti, certo. Ma anche centrocampista, trequartista, difensore quando occorreva: nell’impossibiltà di definirlo con una sola parola si potrebbe parlare di lui come del «giocatore ovunque». E l’Ajax prese queste caratteristiche, quelle del gioco totale, facendone il biglietto da visita della squadra. L’allenatore era Rinus Michels, l’interprete numero uno Johann Cruyff. Molti suoi compagni, anni dopo, ammisero con candore che senza vedere come giocava lui non avrebbero mai compreso come applicare le indicazioni di Michels.
A livello di club, tra Ajax e Barcellona, ha vinto tantissimo: 9 Campionati olandesi, 6 Coppe di Olanda, un Campionato e una Coppa di Spagna. Da abbinare a tre Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale e una Supercoppa Uefa. E tre volte Pallone d’Oro, tanto per gradire, quando per il Pallone d’oro i rivali di alto livello si contavano a mazzi e non era una corsa a due come oggi, nell’era di Messi e Cristiano Ronaldo.
Con la Nazionale olandese aveva il grande rimpianto di aver raggiunto la finale del Mondiale senza riuscire ad alzare la Coppa. Bloccato sul più bello, nel 1974, dai padroni di casa tedeschi con l’aiuto di un arbitraggio quantomeno compiacente. I suoi eredi, quattro anni più tardi, avrebbero trovato addirittura di peggio in casa dell’Argentina: ma questa è un’altra storia.
In tutto Johann Cruyff ha giocato 662 gare segnando 369 gol con le maglie di club, inclusa la piccola parentesi americana con i Washington Diplomats, e 48 con 33 reti indossando la maglia arancione della Nazionale.
Altrettanto di successo il percorso da allenatore: una Coppa d’Olanda, una Coppa di Spagna, quattro Campionati spagnoli e tre Supercoppe di Spagna. E ancora una Coppa dei Campioni, due Coppe delle Coppe, una Supercoppa Uefa. Insieme al Pallone d’Oro degli allenatori, quel titolo di «Allenatore dell’anno» che la rivista World Soccer gli conferì nel 1987. Insomma, un fuoriclasse con il pallone tra i piedi e un fuoriclasse quando doveva insegnare agli altri cosa farne.
I suoi rivali sono stati i più grandi, inclusi i nostri Mazzola e Rivera che restarono incantati da come quel biondino toccasse il pallone quasi accarezzandolo. E incantare quei due non era facile. La morte mette fine alla sua vita terrena, non alla sua leggenda. Di lui, del suo Ajax e dell’Olanda del calcio totale si parlerà per sempre. E Cruyff avrà sempre il posto d’onore.
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