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Sandro Munari, semplicemente il più grande. Auguri, Drago

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Sandro Munari, semplicemente il più grande. Auguri, Drago

Basta vederlo, mentre passa vicino agli altri piloti che hanno condiviso con lui i tempi d’oro del rallysmo mondiale. Tutti lo salutano con affetto, lo abbracciano come vecchi compagni felici di ritrovarsi dopo tanti anni, ma negli occhi di ognuno si legge un lampo di ammirazione. E anche un po’ di invidia: perché lui, Sandro Munari detto “Il Drago”, è stato il più grande. Capace di fare, con un volante tra le mani, quello che ad altri era semplicemente proibito.

Nessuno sa perché succeda, ma ogni tanto nel mondo dello sport accade: in mezzo a tanti campioni arriva un fuoriclasse, uno di quelli veri, che sposta il limite del possibile dove nessuno riesce ad arrivare. Nulla di trascendentale, a prima vista per un osservatore disattento: una cambiata un po’ più rapida, una frenata ritardata di qualche decimo di secondo, un muretto o un precipizio sfiorati di pochi millimetri. Piccole cose, che invece scavano l’abisso.

Sandro Munari è stato così: riusciva a scavare l’abisso. Saliva in macchina, che fosse un prototipo o un’auto da rally non cambiava il risultato, e faceva sempre e comunque la differenza, vinceva su tutti i terreni. Baciato dal Dio dell’automobilismo, che gli ha regalato un talento straordinario? Senza dubbio sì, ma è stato un talento coltivato con passione, impegno e sofferenza per non buttarne nemmeno un grammo. Per farlo fruttare, quel talento, fino al massimo del possibile e anche un po’ oltre.

Sandro Munari non si è mai tirato indietro: ha provato, riprovato e poi riprovato ancora. Ha sollevato montagne di polvere, bruciato petroliere di olio e benzina, tentato con ostinazione strade nuove. Se si fosse seduto sul suo talento, per quanto immenso, non sarebbe stato Sandro Munari. Per molti giovani, che pensano possa bastare essere bravi, una lezione indimenticabile: essere bravi è solo il punto di partenza.

Andava più veloce di tutti, ma i vecchi meccanici della Squadra Corse Lancia riconoscevano la sua macchina a occhi chiusi. Come? Facile: dopo la gara era ancora perfetta, i componenti non erano usurati, tutto girava alla perfezione. Perché quando si guida come Sandro Munari anche per un motore, un cambio o una frizione quella è l’unica cosa possibile da fare: girare alla perfezione.

Ha vinto tanto, tantissimo: a partire dal Tour de Corse del 1967, in coppia con Luciano Lombardini, con una piccola Fulvia HF ancora lontana dalla configurazione con motore 1.600 da 160 cavalli che avrebbe sfoggiato anni dopo. In Corsica, in quel lontano 1967, c’erano tutti: Renault e Alpine Renault, Porsche, Alfa Romeo, Citroën. Eppure contro ogni logica previsione, passando sicuro su un manto scivoloso di foglie e ricci di castagna, Sandro Munari ha messo tutti in fila. Per lui, ancor più del fantastico Montecarlo del 1972 con Mannucci, quella è “la vittoria”, il trofeo più caro di una straordinaria carriera.

Ha superato incidenti che avrebbero stroncato chiunque, come quello tragico del 20 gennaio 1968 durante una tappa di trasferimento del Montecarlo. Un camion, una curva cieca, una Mercedes che supera dove non avrebbe dovuto. Lo schianto improvviso mentre Lombardini guidava e Sandro Munari, che aveva da poco lasciato il volante all’amico, dormiva sul sedile del passeggero. Per la Lombardini la morte, per “Il Drago” l’ospedale e un delicatissimo intervento chirugico per asportare la milza. Vivo per miracolo. Senza ricordare nulla, ancora oggi, di quell’incidente. Ma ricordando l’amico fraterno, ogni 20 gennaio, durante una Messa che viene celebrata per sua volontà a suffragio dei piloti e dei navigatori scomparsi. Un abbraccio che si ripete, commovente e dolcissimo, ogni anno. Perché è vero che i Draghi sputano fuoco, ma hanno un cuore immenso.

Qualcuno gli rimprovera, se mai è possibile rimproverare qualcosa a un campione di questo calibro, di non aver vinto il Safari. Io dico che di Safari, in realtà, ne ha vinti due. Uno con la vecchia Fulvia HF nel 1974: lui aveva chiesto che gli preparassero il motore con la coppia in basso, come per il Montecarlo, perchè la gara si sarebbe decisa su una salita di 12 chilometri. Per un rally che ne prevedeva 5.000, di chilometri, sembrava una follia. Gli fecero una macchina diversa: Munari arrivò primo in classifica a quella maledetta salita, fu costretto a fermarsi e con il motore preparato diversamente dalle sue indicazioni non riuscì a ripartire. Il tempo perso in quei 12 chilometri gli costò la vittoria finale, anche se grazie al terzo posto raggiunto in modo miracoloso la Lancia vinse il Mondiale di quell’anno. Era il primo con la Stratos, ottenuto grazie ai punti che la vecchia Fulvia aveva raccolto sulle strade impossibili dell’Africa.

Il secondo Safari l’ha vinto l’anno dopo, quando chi doveva fargli assistenza in volo decise che, a pochi chilometri all’arrivo e con la Stratos del Drago saldamente in testa, poteva andare a riposarsi. In quei pochi chilometri arrivò una foratura e il vantaggio si trasformò, alla fine del Rally, in 38 secondi di ritardo. Qualcuno può raccontarla diversamente, ma ripeto: per me Sandro Munari di Safari ne ha vinti almeno due. A perderli ci ha pensato qualcun altro.

Sono passati tanti anni, ma dategli un volante e Il Drago è sempre lì, pronto a sputare fuoco come se automobili, strade e tifosi fossero quelle di allora. Guida in modo divino, pennella le curve, arriva dove gli altri si fermano.

Domenica 27 marzo sarà giorno di auguri: di Pasqua, come per tutti, ma per lui in particolare per il 76esimo compleanno. Anni volati in un attimo, come i minuti in una prova speciale. Ma come in una prova speciale con tutti quelli che gli vogliono bene pronti ad accompagnarlo al traguardo. A stringerlo in un abbraccio, forte e sincero, a guardarlo con affetto. E anche con un po’ di invidia nello sguardo: perché lui, Sandro Munari detto “Il Drago”, è stato semplicemente il più grande.

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