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Quando la Storia si ripete: un Nibali da leggenda come Fausto Coppi nel 1953

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GIRO D'ITALIA

Quando la Storia si ripete: un Nibali da leggenda come Fausto Coppi nel 1953

Fausto Coppi (Olycom)
Fausto Coppi (Olycom)

Nel ciclismo ci sono le vittorie, le belle vittorie e le grandi vittorie. E poi ci sono le vittorie destinate a entrare nella leggenda di questo sport un centimetro dopo la linea del traguardo: figlie di una corsa inattesa, interpretata oltre ogni logica, spinta ai limiti delle possibilità umane. Il bello è che ogni tanto, come a voler imprimere un marchio indelebile, la Storia (quella con la “S” maiuscola) decide come per incanto di ripetersi, di sottolineare l'eccezionalità di quanto sta accadendo.

Succede così che Vincenzo Nibali vinca il Giro d'Italia 2016 nello stesso modo in cui Fausto Coppi aveva vinto nel 1953: ultima tappa disponibile, percorso breve ma terribile con montagne pronte a respingere ogni colpo di pedale, un rivale straniero in Maglia Rosa vincitore ormai designato della corsa.

Bolzano-Bormio, 125 chilometri, per Coppi 63 anni fa; Guillestre-Sant'Anna di Vinadio, 134 chilometri, per Nibali. I tornanti dello Stelvio per il Campionissimo; Il Col de Vars che inizia appena usciti dall'albergo, il Col de la Bonette, il Colle della Lombarda e lo strappo finale verso il Santuario di Sant'Anna per lo Squalo dello Stretto.

Nel 1953 in Maglia Rosa lo svizzero Hugo Koblet, che si presenta al via con un paio di occhiali scuri: mai nascondere gli occhi, che sono lo specchio della forma, quando sulla bici di fianco pedala Fausto Coppi. Dopo 63 anni il colombiano Esteban Chaves, anche lui in Maglia Rosa, e anche lui che si presenta al via con un paio di occhiali scuri: mai nascondere gli occhi, quando sulla bici di fianco pedala Vincenzo Nibali.

La Storia, quella con la “S” maiuscola, è tutta qui: 63 anni che sembrano un attimo, annullati da un colpo di pedale di un uomo che resta attaccato al sellino, invece di alzarsi sui pedali, e scava un solco incolmabile con una progressione a cui nessuno può resistere.

Lo Stelvio è entrato nella leggenda insieme a Fausto Coppi: quella è la vittoria che tutti, ancora oggi, ricordano anche se ne hanno solo sentito parlare perché, nel 1953, non erano ancora nati. Il Colle della Lombarda è entrato nella leggenda insieme a Vincenzo Nibali: e i figli dei nostri figli tra sessant'anni parleranno ancora di quel campione siciliano capace di ribaltare un pronostico ormai chiuso, di raccogliere i resti di se stesso dopo tre giorni di inferno e di farli tornare in vetta alla classifica, fino al Paradiso della Maglia Rosa.

Nibali, come Fausto Coppi, non è un campione normale: non perché vince tanto, ma perché tutti sanno che può anche perdere. Nulla a che vedere con Eddy Merckx, il Cannibale, l'invincibile. Coppi, come Nibali, era fragile. Poteva prendere 15 minuti da Bartali o andare in crisi contro Koblet, vittima della sua stessa generosità. Lo stesso è per Nibali: attacca, inventa, non accetta lo sterile uniformarsi del ciclismo moderno a un copione che già alla partenza ti dice come finirà la corsa.

Nibali attacca anche quando non dovrebbe farlo: preferisce perdere, piuttosto che non provare a vincere. Per questo lo amano tutti, e non solo perché è uno dei sei corridori al mondo (insieme a Merckx, Gimondi, Anquetil, Hinault e Contador, roba da stomaci forti…) ad aver vinto Giro, Tour e Vuelta.
Solo tre giorni fa Nibali era un uomo sconfitto, inchiodato nelle retrovie della classifica con un ritardo di quasi cinque minuti: che nel ciclismo moderno sono un'era geologica, una condanna definitiva. Gli sono bastate due tappe per la resurrezione: una per dire “attenzione, ci sono anch'io”, l'altra per tornare dove voleva essere, una pedalata davanti a tutti.

I primi a congratularsi con lui, sulla linea del traguardo, sono stati i genitori di Esteban Chaves. Un abbraccio struggente, lungo e ripetuto, non un atto formale: la mamma del colombiano, in Maglia Rosa, a stringere in mano un paio di occhiali scuri come quelli che non avevano protetto il figlio dall'assalto di Nibali. Un abbraccio sincero come quello che pochi secondi dopo gli ha riservato Alejandro Valverde, l'altro grande sconfitto del Giro, arrivato in Italia con la vittoria nel mirino e costretto a lasciare spazio all'erede del Campionissimo. Un abbraccio affettuoso e sincero, chiuso da una carezza sulla guancia sinistra, che si regala soltanto a chi vuoi bene: anche se ti ha appena battuto.

Questo è Vincenzo Nibali, che dovrà vincere ancora tantissimo per raggiungere Fausto Coppi. E che magari, come numero di vittorie, non ce la farà mai. Ma tutti sappiamo che ci proverà fino all'ultimo respiro. Tutti sappiamo che è già lì, tra i grandissimi di tutti i tempi, insieme a Coppi, Bartali e Gimondi: e che ci è arrivato con la stessa irriverenza, con la stessa voglia di non accettare un risultato già scritto, con lo stesso coraggio che fa la differenza tra chi è un campione e chi, benedetto dallo sguardo amorevole della Storia, pedala nella leggenda.

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