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Dossier Dalle città segnali di preoccupazione per Renzi

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    Dossier | N. 123 articoliElezioni comunali 2016

    Dalle città segnali di preoccupazione per Renzi

    Il primo e più importante obiettivo per il Pd e per Matteo Renzi era uscire in pole al primo turno a Milano. Ma in un voto che i milanesi hanno già molto polarizzato senza aspettare il ballottaggio (l’80% ha votato per i due principali candidati), l’ex presidente Expo Giuseppe Sala fortemente voluto da Renzi e il candidato del centrodestra unito Stefano Parisi sono praticamente alla pari, con un testa a testa anche alle prime ore della mattina. E quindi, indipendentemente dalla manciata di schede che determineranno alla fine il primo posto, la possibilità di perdere Milano dopo cinque anni di buona amministrazione del centrosinistra a guida Giuliano Pisapia è reale.

    Il secondo obiettivo era arrivare al ballottaggio in quasi tutte le più importanti città eccettuata Napoli, dove tutti i sondaggi della vigilia davano la candidata del Pd terza: e questo obiettivo sembrerebbe raggiunto se si eccettua appunto Napoli, dove Valeria Valente sia pure per poco ha lasciato il secondo posto al candidato del centrodestra Giovanni Lettieri. Ma c’è un grandissimo “ma”. La notizia vera del voto nella Capitale non è infatti che Roberto Giachetti sia riuscito a ottenere il ballotaggio, sia pure per un soffio, ma è il successo oltre ogni previsione della candidata grillina Virginia Raggi, che vola verso il 37% distanziando il Pd di 15 punti.

    La sorpresa a 5 stelle travolge anche il voto nella Torino “rossa” di Piero Fassino, dove pure il temutissimo candidato della sinistra Giorgio Airaudo non erode se non poco il bacino tradizionale del centrosinistra (tra il 3 e il 4%): se il sindaco uscente è primo con circa il 40%, la candidata grillina Chiara Appendino lo segue con un ottimo 32%. Per Fassino insomma il ballottaggio si annuncia non scontato: basta sommare al 32% di Appendino anche solo i voti del leghista Alberto Morano (7%), tralasciando le altre candidature, per rendersene conto. Per di più il M5S risulta a Torino il partito più votato, lasciando al Pd il secondo posto. A Bologna il ballottaggio si presenta meno problematico per il sindaco uscente Virginio Merola, attorno al 39% con un distacco di 18 punti rispetto alla seconda arrivata, la leghista Lucia Borgonzoni. Eppure se si pensa che cinque anni fa sia Fassino (con il 56,6%) sia Merola (con poco più del 50%) furono eletti al primo turno, si può misurare ad occhio la disaffezione dell’elettorato del Pd. In quasi tutte le grandi città, e Torino e Bologna sono tra queste, c'è stato un calo dell'affluenza di circa 10 punti rispetto alle scorse comunali. L'astensione questa volta sembra aver colpito più il Pd di altri partiti, e questo non è un buon segnale per un governo guidato dal segretario del Pd.

    Insomma, con l’eccezione del ballottaggio a Roma agguantato per il rotto della cuffia, non si tratta nel complesso di dati esaltanti per il Pd renziano. Da una parte confermano una disaffezione dell'elettorato tradizione di riferimento, anche se va precisato che le dinamiche del voto locale sono diverse, e una difficoltà a mantenere vivo il partito sul territorio a partire dalla selezione della classe dirigente. Dall'altra segnalano l'ascesa del Movimento 5 stelle che, di fronte a un centrodestra in affanno e diviso quasi ovunque tranne che a Milano, diventa il vero antagonista del partito del premier a livello nazionale.

    È vero che, come ha subito precisato nella notte il vice di Renzi a Largo del Nazareno Lorenzo Guerini, il voto riguarda 1.342 Comuni e in 800 di essi il Pd, in coalizione o con liste civiche, si appresta a governare e in molti casi al primo turno. Ma dalle grandi città arrivano segnali ben precisi che il Pd e il suo leader non potranno non valutare nelle prossime settimane. Il risultato finale sarà tuttavia dato dai ballottaggi, e solo allora potranno essere fatte considerazioni politiche più approfondite: in vista del referendum di ottobre sulle riforme (nota facilmente il capogruppo azzurro in Senato Paolo Romani che, sommando i voti del centrodestra e quelli dei grillini, la riforma del Senato e del Titolo V non dovrebbe passare); ma anche in vista delle prossime elezioni politiche, siano nel 2018 o nel 2017. Come è noto, infatti, l’Italicum prevede il ballottaggio tra i primi due partiti (non coalizioni) se nessuno arriva al 40%, e senza possibilità di apparentamenti tra il primo e il secondo turno. Magari con l’aiuto della Corte costituzionale, che ad ottobre esaminerà i ricorsi contro la nuova legge elettorale, qualche modifica alla legge elettorale - così come chiede da mesi la minoranza del Pd - potrebbe rientrare nell'orizzonte di Palazzo Chigi.

    La fotografia milanese, infine, si presta a qualche riflessione più generale sul “renzismo”. Sala è il candidato renziano per eccellenza: un profilo moderato che può potenzialmente prendere i voti anche dal centrodestra. Ma è uno schema che funziona, o può funzionare, se dall'altra parte c'è un grillino o un populista di destra. A Milano invece il centrodestra ha avuto un soprassalto di intelligenza politica presentandosi unito, dalla Lega ai centristi di Alfano, e presentando un candidato a sua volta moderato e dal profilo molto simile a quello di Sala. E in questo schema di gioco la “ricetta” renziana rischia di perdere la sua efficacia.

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