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Dossier La posta in gioco per Renzi e il Pd

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    Dossier | N. 123 articoliElezioni comunali 2016

    La posta in gioco per Renzi e il Pd

    (Ansa)
    (Ansa)

    Da Milano a Torino. Questa la trincea che Matteo Renzi deve sperare di difendere oggi, quando dai ballottaggi nelle grandi città potrebbe uscire il responso peggiore per il suo Pd: da una parte Milano che dopo cinque anni di buona gestione da parte della Giunta di centrosinistra guidata da Giuliano Pisapia finisce nelle mani del centrodestra guidato da Stefano Parisi, dall'altra Torino strappata al sindaco uscente Piero Fassino (e anche qui in pochi mettono in dubbio la buona gestione) dalla grillina Chiara Appendino. Oltre a Roma, naturalmente, già data per persa in favore della grillina Virginia Raggi: solo un vero e proprio miracolo potrebbe permettere al renziano Roberto Giachetti di evitare un Campidoglio a Cinque stelle con relativo risalto sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo.

    Quello che preoccupa Palazzo Chigi è l'effetto “tutti contro Renzi”, ossia il convergere ai ballottaggi di tutte le opposizioni – dalla Lega di Matteo Salvini, che lo ha esplicitato invitando i suoi a votare qualsiasi candidato contro il Pd, a Forza Italia al Movimento 5 stelle – con l'obiettivo comune di dare una prima spallata al premier e segretario del Pd. Una possibile convergenza che preoccupa Renzi soprattutto in vista del referendum confermativo sulla riforma del Senato e del Titolo V che si terrà ad ottobre (probabilmente il 2). Anche per questo motivo, per evitare cioè l'effetto “tutti contro Renzi”, il premier ha deciso di defilarsi in questa seconda fase della campagna elettorale per i ballottaggi evitando di partecipare alle iniziative elettorali dei candidati del Pd. Gli stessi Sala e Fassino, nella trincea del Nord-Est, hanno preferito giocarsi l'ultima fase della campagna elettorale puntando sui temi delle loro città.

    Se venerdì, giorno di chiusura della campagna elettorale prima del silenzio di ieri, Renzi era a San Pietroburgo per partecipare all'International economic forum e per incontrare il presidente russo Vladimir Putin, anche l'agenda delle prossime ore non prevede particolari deviazioni per via dei ballottaggi. Ieri, intanto, Palazzo Chigi ha reso nota una conversazione telefonica con il presidente francese Francois Hollande sul tema della Brexit in vista dell'importante referendum inglese di giovedì prossimo. Basta poi dare uno sguardo all'agenda del premier, in realtà sempre in fieri, per capire che per lui domani sarà un giorno come un altro e non il lunedì del dopo elezioni: a pranzo Renzi attende a Palazzo Chigi Massimo Bottura, lo chef fresco di un importante riconoscimento internazionale; mentre martedì parteciperà alla presentazione del libro di Alec Ross, spin doctor di Barak Obama e Hillary Clinton, sull'innovazione tecnologica.

    Ma se il premier ha più volte ribadito che l'esito delle comunali non avrà alcuna ripercussione sul governo perché «la madre di tutte le battaglie» sarà il referendum sulle riforme, è anche vero che perdere a Milano, o addirittura a Torino, non potrebbe non avere conseguenze politiche: in primo luogo sarebbe il segno di un vento anti-renziano nella parte più avanzata del Paese di cui il premier e segretario del Pd non potrebbe non tener conto anche e proprio in vista del referendum di ottobre; in secondo luogo una sconfitta a Milano e/o Torino darebbe lo squillo di tromba alla minoranza del Pd per partire all'attacco su tutti i fronti: separazione dei ruoli di premier e segretario, modifiche all'Italicum, “libertà di coscienza” al referendum di ottobre. Non a caso i leader della sinistra Pd, da Gianni Cuperlo a Roberto Speranza, non hanno ancora preso una posizione ufficiale sul referendum. Schierarsi per il No, dopo aver votato a favore della riforma costituzionale in Parlamento, è fuori discussione (il caso di Massimo D'Alema, ormai già sull'uscio, è a parte). Ma la soluzione potrebbe essere una sorta di disimpegno attivo, ovvero una posizione critica sull'«uso plebiscitario» del referendum da parte di Renzi. Lo scenario peggiore per il premier, solo contro tutti e pungolato dalla minoranza del suo stesso partito. Per questo tenere Milano e Torino è di fondamentale importanza.

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