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L’ultimo saluto di Fabriano al suo patron Vittorio Merloni

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i funerali dell’imprenditore

L’ultimo saluto di Fabriano al suo patron Vittorio Merloni

Alle pareti della Locanda da Ivo, storica trattoria e la più frequentata di Fabriano, in pieno centro, sono appese decine di fotografie di vip e artisti. La cornice più grande, però, raffigura Vittorio Merloni, e il fratello Francesco, che esultano sventolando la maglia della Juventus (erano gli anni di Michel Platini e della Ariston sulle maglie bianconere). Niente meglio di questa immagine racchiude il legame tra la piccola città delle Marche e il patron della più grande azienda italiana di elettrodomestici, scomparso sabato.

Fuori dal locale, un cielo basso, grigio plumbeo. Diluvia. Non si scorgono nemmeno le montagne che circondano il panorama della cittadina. È la primavera più fredda e bagnata a memoria d’uomo, ricorda un vecchio al bar della stazione. Sarebbe facile cadere nel banale lirismo di vederci una metafora con quello che vive la città.

Quando la salma di Vittorio Merloni esce dalla Cattedrale, gremita di gente, un boato di applausi riempie la piccola piazza. Molti hanno le lacrime. Sono persone normali, cittadini. Una fotografia che dice molto su quello che Merloni e Indesit hanno rappresentato per Fabriano. Un colosso industriale in una città di 20mila abitanti: «Tutti hanno un debito di riconoscenza verso Vittorio - commenta Dorino Panti, uno dei pochi tassisti rimasti dopo la crisi del Bianco degli ultimi anni). Oggi la città è triste».

Non c’è famiglia qui a Fabriano che non abbia un figlio o un parente che non abbia lavorato, direttamente o meno, per il “Dottor Vittorio”. La Indesit ha portato benessere. «Non era un industriale speculatore, ha distribuito ricchezza in tutto il comprensorio, per il bene della comunità e anche se i figli hanno venduto, la città gli è comunque grata», chiosa il tassista.

In giro la città è tappezzata di manifesti funebri
Spicca quello di Francesco Casoli, il fondatore della Elica (ed ex senatore di Forza Italia). Senza la Ariston e l’indotto sortole attorno negli anni 60, non sarebbero nate né le aziende di cappe che da anni vince il premio come “Best Workplace” in Italia (miglior posto di lavoro) né la Faber, oggi due piccole multinazionali degli elettrodomestici.

Gli operai hanno voluto fare un picchetto continuo, alternandosi tutta la notte, alla salma. La camera ardente è stata nella fabbrica di Albacina, dove nel 1930 il patriarca Aristide, emigrato a Torino come operaio di bilance e tornato in patria, fondo la Ariston. La cattedrale è gremita e in questa piccola città delle Marche, incastrata tra gli Appennini, sono arrivati in molti a rendere omaggio allo scomparso Vittorio e alla famiglia (la moglie Franca, i 4 figli Andrea, Aristide, AnnaPaola e Antonella) e al fratello di Vittorio, Francesco, con il figlio Paolo e il genero Giovanni Cornetto Bourlot: un commosso Diego Della Valle (assieme al fratello Raffaele) e i tre ex manager Francesco Caio (oggi alla guida di Poste), Andrea Guerra (oggi a capo di Eataly) e l’ultimo ad Marco Milani.

In prima fila il presidente di AlitaliaLuca Cordero di Montezemolo, quello di Bnl Luigi Abete, Giovanni Malagò e l’economista Innocenzo Cipolletta. Accanto all’ex presidente della Camera Pierferdinando Casini, il patron di Technogym Nerio Alessandri. Sabato c’era stata la visita del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia e di Romano Prodi, storico consulente della famiglia.

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