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Crescita, debito e deficit: gli effetti di Brexit sull’Italia

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il referendum britannico sulla ue

Crescita, debito e deficit: gli effetti di Brexit sull’Italia

(Ansa)
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Possibili effetti sul finanziamento del debito nel medio periodo, qualora il no alla permanenza nell’Unione europea determinasse una fase di prolungata fibrillazione dei mercati. Eventuali ripercussioni sul sistema bancario, cui si dovrà far fronte, considerato l’attuale, elevato ammontare delle sofferenze. Potenziale effetto di rallentamento del ciclo economico, in caso di ulteriore frenata dell’economia europea. A Roma, come nelle altre capitali europee, si attende con il fiato sospeso l’esito del referendum di oggi in Gran Bretagna.

La preoccupazione principale – come emerso dal Forum pubblicato ieri dal Sole24Ore – è sul possibile «effetto di emulazione», e dunque sul vulnus politico con cui l’intera Europa sarebbe chiamata a fare i conti.

Sul versante delle politiche economiche nazionali, l’eventuale ridimensionamento della stima di crescita per l’anno in corso (1,2%) imporrebbe a fine settembre la revisione dell’intero quadro previsionale. Sarebbe a quel punto arduo rispettare l’impegno a ridurre il debito già a partire dal 2016 (132,4% contro il 132,7% del 2015). Per il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan contribuirà l’apporto delle privatizzazioni, ultima in ordine di tempo la cessione della nuova quota di Poste. La sensitività del bilancio pubblico ai tassi di interesse – assicura – è continuamente monitorata. Difficile al momento prevedere a quale livello si attesterà la crescita. In caso di ulteriore rallentamento, andrebbe rivisto anche il target del deficit, attestato per ora al 2,3% del Pil nel 2016 e all’1,8% nel 2017. Con quel che ne consegue in termini di negoziato con Bruxelles sull’ulteriore quota di flessibilità chiesta per il prossimo anno, pari allo 0,7% del Pil.

Al di là degli elementi di fragilità dell’economia italiana che sono strutturali (il rischio-declino non è certo cosa di oggi), in caso di “leave” la Bce e le banche centrali nazionali del Sebc, di concerto con Boe e Fed sono già pronte con un vastissimo strumentario per intervenire, se si dovessero materializzare rischi e problemi di liquidità sui mercati delle valute, dei titoli pubblici e sull’operatività del sistema bancario.

Se si creasse un difetto di liquidità sui mercati, si potrebbe intervenire attraverso operazioni di swap sterlina-euro o sterlina-dollaro, ha spiegato al forum del Sole 24 ore il governatore Ignazio Visco. Oppure, si potrebbero avviare interventi di finanziamento specifici se ve ne fosse l’esigenza, soprattutto in Gran Bretagna. La Bank of England ha ancora margini di manovra per agire sulla leva dei tassi. La tesi di Visco è se c’è grande crisi, ci sono grandi risposte, come nel 2012, quando si è manifestato un elevato rischio di frammentazione nell’area della moneta unica e, soprattutto, un rischio di ridenominazione, perché a quell’epoca divenne tangibile il timore di una rottura dell’euro.

“In termini economici, secondo Visco, l’Italia non è un paese particolarmente esposto ai rischi di un’eventuale Brexit ”

 

Sono i momenti in cui anche il pragmatismo e la capacità di prendere decisioni rapide delle banche centrali funzionano al meglio. Sempre in termini strettamente economici, l’Italia non è un paese particolarmente esposto alla Brexit, osserva Visco: in base a una classifica di 20 paesi Ocse stilata per sensitività a un’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Europa, il nostro paese risulta agli ultimi posti. Ai primi posti, per vulnerabilità, ci sono paesi molto integrati con il Regno Unito mentre l’interscambio italiano di beni e servizi con la Gran Bretagna è intorno al 3% del Pil.

Il punto è che l’Italia non può permettersi il rischio dei «sette anni di limbo e di incertezza politica» per il destino dell’Europa dei quali ha parlato nei giorni scorsi il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk.

Ne risentirebbe, in primo luogo, la fragile piantina degli investimenti, che dopo tanto tempo aveva ripreso a crescere. E, con la mancata crescita, finirebbero con il risentirne, alla lunga, anche le banche italiane, oggi alle prese con un elevato ammontare di non performing loans che altro non è che la dura eredità della lunga recessione passata, perché lo “scudo” della Banca centrale europea funziona per eventuali problemi di liquidità, non per risolvere le questioni strutturali. Con il risultato che, come ha fatto osservare l’amministratore delegato di Intesa San Paolo, Carlo Messina, chi specula sulla debolezza complessiva del nostro paese continuerebbe a “vedere” solo la rilevanza dei crediti deteriorati italiani, nonostante il fatto che questi prestiti siano molto più garantiti dei prodotti derivati di banche di altri paesi.

In definitiva - sottolinea il governatore della Banca d’Italia - occorre evitare un indebolimento del processo di unificazione europea, dovuto all’incertezza delle risposte politiche. Anzi, Visco rilancia: si dovrebbe affermare l’idea che su alcuni temi politici fondamentali (si pensi alla sicurezza o alla grande questione dell’immigrazione) non ci si può cullare sull’illusione, come diceva Tommaso Padoa-Schioppa, che siano possibili risposte nazionali, anziché continentali, se non mondiali.

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