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Azeglio Vicini, l’uomo «azzurro» delle notti magiche del…

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Azeglio Vicini, l’uomo «azzurro» delle notti magiche del 1990

Azeglio Vicini con Gigi De Agostini (Olycom)
Azeglio Vicini con Gigi De Agostini (Olycom)

La sua nazionale era bella, costruita per incantare, zeppa di leader, di speranze. L'Italia di Azeglio Vicini. Quella dei mondiali del 1990, di casa nostra. Quella del sogno coccolato, mai vissuto. La nazionale delle notti magiche, delle reti e degli occhi sbarrati di Totò Schillaci. Quella delle voci di Edoardo Bennato e Gianna Nannini dalla finestra, inseguendo la storia e soprattutto un goal. L’Italia del giovane Baggio, di Roma in festa, patriottismo a manetta e caput mundi. Era una squadra diversa quella, molto diversa da questa di Antonio Conte.

Nel ’90 doveva vincere, sembrava predestinata alle braccia al cielo. Ma una notte di luglio, nella “maledetta” semifinale di Napoli contro l'Argentina di Maradona, tutto si fermò ai calci di rigore. E lì, ad un centimetro dalla gloria, si sciolse (e poi si ricompose) anche il mito di Azeglio, l’allenatore con la faccia perbene e senza fronzoli. Che ora viene raccontato in un libro («Azeglio Vicini, una vita in azzurro», Goalbook Edizioni) dal figlio Gianluca e dalla moglie Ines, calati nei difficili panni di scrittori.

“Azeglio Vicini fu il padre putativo di una nazionale uscita dal mondiale del Bel Paese con un fiume di lacrime al seguito e un solo gol al passivo”

 

L’opera ripercorre pazientemente tutto il cammino di questo uomo di calcio, di questo padre putativo di una nazionale uscita dal mondiale del Bel Paese con un fiume di lacrime al seguito e un solo gol al passivo. Un gruppo, quello del ’90, ideato e costruito sul blocco della meravigliosa Under 21 degli anni ’80. Che, scherzo del destino, nel 1986 perse il titolo di campione d’Europa perdendo ai rigori contro la Spagna. Era l’Italia dei giovani emergenti. Futuribili fuoriclasse, gente tosta. Vialli, Zenga, Giannini, De Napoli.

«Erano ragazzi di grande talento e grande personalità - racconta Vicini nel libro. - Li ho visto crescere, con molti di loro il cammino è proseguito nei miei cinque anni alla guida della nazionale maggiore. Avevano un grande attaccamento alla maglia azzurra. Una volta lessi che Mancini era infortunato e non avrebbe giocato con la Sampdoria, quindi non lo convocai. La domenica sera me lo sono visto arrivare in ritiro. Mi disse che stava bene, che era disponibile. Avvisai il suo club che sarebbe rimasto con noi. È stato l’unico caso di convocazione postum».

L’Under 21, quell’Under 21 a metà degli anni '80, giocava un football champagne. Riproposto qualche mese dopo nella nazionale maggiore. Vicini venne infatti nominato commissario tecnico il 1 agosto del 1986, dopo la mezza disfatta del mondiale messicano, quello dei reduci del trionfo spagnolo. Un’Italia da ricostruire, da rifondare. «Per la prima volta dopo molti anni - ricorda Azeglio - non c'era più un «blocco-Juve» di sei-sette giocatori in grado di fare da riferimento. Puntai quindi sul mio gruppo della Under 21, che era però necessario “puntellare” in un paio di ruoli integrandolo con elementi capaci di dare esperienza e qualità ad una banda di ragazzi poco più che ventenni». Degli eroi del Mundial ‘82 rimasero Cabrini, Bergomi, Altobelli e Franco Baresi.

E così arriva il giorno del debutto di Vicini alla guida azzurra, l'8 ottobre 1986 a Bologna, con l’amichevole Italia-Grecia, vinta 2-0 con doppietta dello “zio” Bergomi. Nel 1988, anno degli Europei in Germania, l’Italia chiude il torneo al terzo posto. A sbarrare il passo verso la finale, dopo aver battuto Spagna e Danimarca, è la magnifica URSS di Oleksiy Mykhailychenko e Olexandr Zavarov (lo juventino) con un secco 0-2. «Sebbene fossimo a giugno inoltrato, il tempo era pessimo, la pioggia aveva reso il terreno pesantissimo e tutto metteva a proprio agio i nostri avversari. Noi eravamo tecnici e veloci. Loro più potenti, e su quel campo fece la differenza».

“Se avessimo potuto giocare tutto il mondiale all’Olimpico non ci avrebbe mai sconfitto nessuno”

Azeglio Vicini 

L'Italia però migliora, cresce, arrivano i mondiali qui da noi, da vincere a tutti i costi. Caldo africano, tricolore esposto a tutte le finestre. Il cammino degli azzurri inizia la sera del 9 giugno, a Roma contro l’Austria. «Il nostro ingresso all’Olimpico è stato indimenticabile. Lo stadio era gremito all’inverosimile, era tutto uno sventolio di bandiere. A dare una scossa in più le note delle «Notti Magiche» di Edoardo Bennato e Gianna Nannini, poi l’Inno di Mameli cantato da quasi ottantamila spettatori. Una scena da brividi, ripetuta in tutte e cinque le partite che abbiamo giocato a Roma. Una scarica di adrenalina per i giocatori: con quel pubblico eravamo imbattibili. Se avessimo potuto giocare tutto il mondiale all’Olimpico non ci avrebbe mai sconfitto nessuno. E da brividi era anche il ritorno al ritiro di Marino. Dopo ogni partita che abbiamo giocato nella capitale, lungo tutto il percorso che facevamo in pullman viaggiavamo in mezzo a due ali di folla che ci applaudivano. Una cosa mai vista, considerato che arrivavamo in albergo dopo l'una di notte».

Al fatidico minuto 75 della gara di esordio iniziano l’avventura e il mito di Totò Schillaci. «La squadra aveva corso moltissimo, speso tanto. Carnevale aveva bisogno di rifiatare, avevo l’impressione che l’Austria stesse soffrendo le giocate particolarmente veloci. Così ho pensato di giocare la carta Schillaci. Era da poco nel giro azzurro, ma negli allenamenti lo avevo visto molto reattivo. E veloce lo è stato in tutti i sensi, perché dopo tre minuti ha segnato la rete decisiva».

“Sono passati anni, mondiali e grandi portieri, ma ancora oggi il record di imbattibilità in un mondiale appartiene a Walter Zenga”

Azeglio Vicini 

Un'azione memorabile: apertura di Donadoni per Vialli, che è andato sul fondo e ha crossato al centro dell'area, dove Totò si è fatto trovare prontissimo. Il girone di qualificazione prosegue con altre due vittorie: 1-0 con gli USA, 2-0 con la Cecoslovacchia. L'Italia spazza via agli ottavi e nei quarti rispettivamente Uruguay ed Irlanda. È il mondiale del goleador Schillaci, delle serpentine del giovanissimo Roberto Baggio, del blocco difesa targato Milano. Roccioso, invalicabile.

Vicini: «Tra le note positive c’era sicuramente il fatto di avere giocato cinque partite senza prendere gol. Sono passati anni, mondiali e grandi portieri, ma ancora oggi il record di imbattibilità in un mondiale appartiene a Walter Zenga. Schillaci continuava a segnare reti decisive. Ma, tra l’entusiasmo generale, dopo la gara con l’Irlanda avevo notato due campanelli d’allarme. Il primo era la sensazione che la squadra iniziasse ad essere stanca dopo una serie di partite giocate sempre al massimo della velocità. Il secondo che contro l’Irlanda l’arbitro ci aveva annullato due gol per fuorigioco che non c’erano».

“Giusti, già ammonito, tocca la palla con la mano. Vautrot estrae il cartellino giallo, poi si rende conto che dovrebbe espellere il difensore argentino e ci ripensa: ripone il cartellino e si limita ad un richiamo verbale”

Azeglio Vicini 

L’Italia vola, centra il primo obiettivo, è in semifinale. Il 4 luglio 1990, a Napoli, contro l’Argentina. «Lasciamo Roma, la nostra casa. La nostra destinazione è Napoli, dove dobbiamo incontrare l’Argentina di Maradona, che della città partenopea era il re. Con diplomazia e furbizia Diego ha chiamato a raccolta tutti i napoletani, e così ci siamo sentiti mancare la spinta che avevamo a Roma». Qualche preoccupazione viene anche dalla designazione dell'arbitro, il francese Vautrot. «Mi misero in guardia, ma del resto che ci potevo fare? Mica potevamo ricusare l’arbitro. Però dopo i due gol annullati contro l'Irlanda qualche preoccupazione mi è venuta, considerato anche che l’Argentina aveva goduto già di un paio di grossi favori nelle partite precedenti. E qualche dubbio mi rimane ancora: al decimo del secondo tempo Giusti, già ammonito, tocca la palla con la mano. Vautrot mette la mano in tasca ed estrae il cartellino giallo, come prevedeva il regolamento. Poi si rende conto che dovrebbe espellere il difensore argentino e ci ripensa: ripone il cartellino e si limita ad un richiamo verbale». La partita era sul 1-0, in vantaggio con il solito goal di Schillaci.

«Avremmo potuto giocare quasi tutta la ripresa con un uomo in più. E invece arrivò la marcatura di Caniggia di testa, con la celebre uscita a vuoto di Zenga. Quante volte mi sono sentito dire che abbiamo perso il mondiale per colpa dell’errore di Walter. È vero, quell’uscita non la doveva fare, ma io l’ho sempre difeso». Addio sogni. Le notti magiche finiscono in quell’attimo, in quell’uscita maldestra di un portiere, del portiere più forte dell’epoca, che in quel mondiale da brividi non aveva fino a quel momento preso una rete. Italia ’90 termina così. Con il terzo posto, la Germania campione del mondo, la nostra finalina vinta a Bari contro l’Inghilterra. Dopo un mese di passione, di ottimismo. Italia-Argentina resta la trasmissione più vista in televisione negli ultimi trent'anni, da quando esiste l’Auditel. Oltre 27 milioni e mezzo di spettatori, più dell’ 87% di share. Un record mai superato: neppure da nazionali più fortunate e vincenti.

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