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Tutti contro l’Italicum, e i renziani «riflettono»

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legge elettorale

Tutti contro l’Italicum, e i renziani «riflettono»

Visto da Palazzo Chigi e da Largo del Nazareno ieri è stato il giorno del tutti contro l’Italicum: il voto contro sul Ddl terrorismo in Senato dei centristi di Alleanza popolare e dei verdiniani di Ala, che hanno fatto confluire i voti su un emendamento di Forza Italia (si veda pagina 14), è stato letto proprio come un “avvertimento” su quello che potrebbe accadere il Parlamento se Matteo Renzi non aprirà alle modifiche alla legge elettorale. Le modifiche chieste dai centristi si concentrano soprattutto su un punto: premio alla coalizione e non alla lista come previsto dall’Italicum, esattamente come chiede da mesi la minoranza del Pd. Non solo. Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe - dal momento che il meccanismo del premio alla lista e del ballottaggio favorisce i grillini come ha dimostrato il voto di domenica scorsa nelle città - ieri il Movimento 5 stelle ha tenuto addirittura una conferenza stampa in Senato per dire, con Alessandro Di Battista e Roberto Fico, che «per noi riforme costituzionali e Italicum sono un pericolo per la democrazia».

Se la linea ufficiale del governo e dei vertici del Pd - dalla ministra per le Riforme Maria Elena Boschi al capogruppo alla Camera Ettore Rosato fino al vicesegretario Lorenzo Guerini - resta quella di “nessuna modifica all’Italicum”, gli avvenimenti di ieri qualche preoccupazione anche nello stretto cerchio renziano la hanno destata. E i dirigenti pià vicini a Renzi fanno notare che se continua così - ossia con Ap e Ala che votano con l’opposizione e la minoranza del Pd che minaccia a sua volta di boicottare i provvedimenti del governo se non venissero accolte le sue richieste - sarebbe «giocoforza andare alle elezioni anticipate prima dello svolgimento del referendum».

Solo una minaccia? Ieri a complicare il quadro c’è stata anche una dichiarazione in tv di Emanuele Fiano, capogruppo in commissione Affari costituzionali della Camera e renzianissimo (anche se la sua provenienza politica è quella di Areadem di Dario Franceschini). «Va fatta una riflessione - sono le parole di Fiano -. Noi abbiamo pensato all’Italicum in un momento diverso. Credo che Renzi farà una riflessione seria». Vero che l’Italicum è stato pensato in un’altra fase politica, quando il Pd del neosegretario Renzi alle europee del 2014 ottenne il 41% dei voti doppiando il M5S. Ma è anche vero che Renzi, sostenitore e non da ora della “vocazione maggioritaria” di veltroniana memoria, non ci pensa proprio a reintrodurre la coalizione per dover poi trattare con i piccoli partiti a sinistra del Pd e magari con i verdiniani a destra: proprio le amministrative hanno dimostrato che si tratta di alleanze che non convengono in termini di voti aggiuntivi e, nel caso di Ala, addirittura rischiano di far perdere voti tra l’elettorato tradizionale del Pd. Il punto non è il premio alla lista o alla coalizione. Il punto è il ballottaggio nazionale, previsto dall’Italicum se nessuna lista supera il 40%, con il meccanismo del “tutti contro Renzi e il governo” che si è visto a Torino. Ma togliere il ballottaggio significa riscrivere del tutto la legge elettorale, e anche questo al momento è impensabile.

Dunque la linea di Renzi è: la questione non è all’ordine del giorno. Prima c’è il referendum, anche perché se la riforma del Senato non dovesse passare a nulla varrebbero le modifiche all’Italicum: il Senato rimarrebbe elettivo e per i senatori resterebbe in piedi il proprozionale Consultellum. C’è poi una scadenza che a nessuno sfugge, ossia il pronunciamento della Consulta proprio sull’Italicum previsto dal 4 ottobre. E anche se per ragioni di forma (i ricorsi sono stati presentati prima dell’entrata in vigore della nuova legge elettorale, il 1 luglio 2016) la Consulta dovesse rigettare i ricorsi, la riforma costituzionale prevede comunque il giudizio preventivo della Consulta. E in molti, in Transatlantico, prevedono che alla fine ci penseranno i giudici costituzionali ad “aggiustare” le cose. Non tanto intervenendo sui capilista o sul premio alla lista quanto - è questa l’ipotesi che circola in ambienti parlamentari - inserendo una sorta di quorum: se al ballottaggio nazionale tra le prime due liste non va a votare almeno il 50% degli aventi diritto, i seggi verranno ripartiti proporzionalmente in base ai voti ricevuti al primo turno.

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