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Referendum, avanza l’ipotesi spacchettamento

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la consultazione sulle riforme

Referendum, avanza l’ipotesi spacchettamento

Matteo Renzi (Ansa)
Matteo Renzi (Ansa)

Ufficialmente la raccolta delle firme non è ancora partita. Ma cresce in Parlamento il vento a favore del cosiddetto spacchettamento del referendum costituzionale parallelamente alle aperture sulla modifica dell’Italicum. Non è ovviamente una coincidenza. Riforma costituzionale e nuova legge elettorale sono indissolubilmente legate, visto che l’Italicum è stato pensato per la sola Camera dei deputati, dando per scontata di fatto l’abolizione del bicameralismo perfetto. «Come abbiamo già detto, noi restiamo aperti al confronto, ma solo su ipotesi concrete che abbiano una base solida a livello numerico», ha detto ieri il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini con riferimento alla possibile modifica dell’Italicum. Un’apertura che va letta anche in relazione alle forti fibrillazioni interne ai centristi di Angelino Alfano, legate anche e soprattutto all’attuale legge elettorale, e che certamente risponde anche alle richieste avanzate ripetutamente dalla minoranza del Pd. Non solo. Sulla modifica dell’Italicum forte è anche l’interesse di Silvio Berlusconi.

Guerini dice che Italicum e riforma costituzionale vanno tenuti distinti perché altrimenti «si rischia di confondere gli elettori». Ma la disponibilità al confronto presuppone tempo. E se si vuole mettere mano all’Italicum, è difficilissimo riuscire nell’intento alle porte dell’estate e con un autunno occupato dalla sessione di Bilancio e dalla campagna referendaria. Ecco allora che entra in gioco lo spacchettamento. L’ipotesi che sulla riforma del Senato e del titolo V gli elettori siano chiamati a pronunciarsi su più quesiti si manifesterà nei primi giorni della prossima settimana. I tempi sono infatti strettissimi visto che la richiesta va presentata alla Corte di Cassazione entro il 15 luglio e servono le firme di un quinto dei deputati (126) o dei senatori (66). Ma è un’impresa tutt’altro che impossibile anche perché se fino a qualche settimana fa a chiedere lo spacchettamento erano, oltre ai Radicali, quasi esclusivamente le opposizioni e la sinistra Pd, adesso l’interesse è cresciuto anche nella maggioranza. E non solo per ragioni di merito ma anche di tempistica. La richiesta di spacchettamento molto probabilmente porterà a un conflitto di attribuzione da risolvere davanti alla Consulta. La data di «ottobre o al massimo il 6 novembre» indicata da Palazzo Chigi per svolgere il referendum diventerebbe così impraticabile e sarebbe pressoché scontato che sulla riforma costituzionale si voterà nel 2017.

Renzi finora ha sempre perorato la strada del quesito unico, e il Pd sta completando su questo la raccolta delle firme da presentare in Cassazione. Ma negli ultimi giorni ha lasciato filtrare che qualora si decidesse diversamente ne prenderà atto. Insomma, il premier non è intenzionato a fare una battaglia campale sul numero di schede. Anche perché sarebbe un modo per «depoliticizzare» - come sostiene il capogruppo di Ap Maurizio Lupi - il referendum e anche i risultati.

«Cresce l’attenzione anche oltre confine per il referendum. Dopo che i britannici hanno votato per la Brexit e accortisi di ciò che hanno fatto, cercano di inventarsi qualche soluzione di ripiego, i commentatori internazionali mettono nel mirino il referendum del nostro Paese. Si sottolineano i rischi di un’eventuale vittoria del No» ma - scrive il premier nella sua E-news - «non vinceremo questo referendum evocando la paura del No».

Sullo spacchettamento i più attivi sono i centristi che puntano alla revisione dell’Italicum. Ma di ora in ora aumenta il drappello dei favorevoli. Il Pd non fa parte della partita. «È un’ipotesi che non ha alcun senso», twitta Stefano Ceccanti. Questo però non significa che singoli deputati possano partecipare all’iniziativa. E non è da escludere che un sostegno arrivi anche dall’opposizione nonostante la risposta tranchant del capogruppo alla Camera di Fi Renato Brunetta («No a consultazione spezzatino»). I 5 stelle con Danilo Toninelli, capogruppo in commissione Affari costituzionali e referente principale di Grillo sulle riforme, prima delle amministrative si spendeva a favore dello spacchettamento «per permettere ai cittadini di conoscere quale argomento stanno andando a votare». È probabile che ora, dopo i risultati elettorali e le difficoltà emerse nella maggioranza, cambieranno idea.

Il rinvio al 2017 del referendum avrebbe infatti un’altra conseguenza rilevante: impedirebbe la nascita del cosiddetto governo di scopo. «Dopo Renzi non c’è altra possibilità che le elezioni», diceva ieri il capogruppo dem al Senato Luigi Zanda. Ma come deve aver compreso Renzi dopo il colloquio giovedì con il Capo dello Stato, l’eventuale vittoria del «no» a ottobre e le sue scontate dimissioni da premier, con la sessione di Bilancio aperta e le più che probabili reazioni dei mercati e per di più con due sistemi elettorali (Italicum alla Camera e Consultellum al Senato), non consentirebbero un immediato ritorno al voto. Un’ipotesi che invece diventerebbe percorribile se il verdetto arrivasse nella primavera del 2017, a legislatura quasi scaduta.

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