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Governabilità vs rappresentanza, Tonini e Malan a confronto sulle riforme

Da una parte l'esigenza di avere governi stabili, dall'altra il timore di avere governi troppo forti che mettano a rischio la democrazia: le ragioni del sì e del no al referendum costituzionale a confronto nel dibattito andato in scena ieri alla Business School del Sole 24 Ore. Davanti ai 26 allievi del Master in Informazione multimediale e Giornalismo politico-economico, a sfidarsi sono i senatori Giorgio Tonini, Partito democratico, e Lucio Malan, Forza Italia. Entrambi sono alla quarta legislatura: il primo è presidente della Commissione Bilancio a Palazzo Madama, il secondo questore del Senato. Il faccia a faccia è moderato dalla giornalista del Sole 24 Ore Emilia Patta. Ed è tutto giocato sulla contrapposizione tra l'esigenza di governabilità, e quindi di stabilità, e l'esigenza di rappresentatività.

Stabilità vs rappresentatività
Tonini, cattolico, ex veltroniano ora vicino a Matteo Renzi, plaude la legge costituzionale che sarà al centro della consultazione popolare di novembre: «Avremo un sistema più fluido e maggiore governabilità», evidenzia. Malan, cristiano valdese, lontane origini leghiste, in Forza Italia dal 1996, è invece critico: «Con questa riforma si rischia di passare da un eccesso di parlamentarismo a un eccesso di poteri in capo al governo – osserva –. La stabilità è un'esigenza ma la rappresentatività lo è di più». Il senatore azzurro punta il dito contro il ruolo «meramente consultivo» riservato a Palazzo Madama nel testo di revisione: uno sbilanciamento di poteri in favore della Camera che, a suo dire, lascerà l'esecutivo «pericolosamente senza limiti». «Falso – ribatte Tonini -la Camera avrà il potere legislativo, ma il Senato interverrà per le modifiche costituzionali e nel decidere le regole del gioco. E per eleggere le istituzioni di garanzia, a cominciare dal Presidente della Repubblica, si dovrà necessariamente coinvolgere le opposizioni».

Italicum e altre turbolenze
Il confronto si sposta quasi subito sul tema caldo sulla legge elettorale. Per il parlamentare dem l'Italicum è equilibrato, in linea con i sistemi maggioritari degli altri grandi Paesi europei: «Consentirà ai cittadini di scegliere il governo». Malan attacca invece l'introduzione del ballottaggio nel contesto tripolare italiano: «Provate a chiedere a un vegetariano se preferisce la bistecca o la porchetta: una scelta dovrà farla, ma di certo non voterà secondo la sua volontà». La domanda, a questo punto, è scontata: in caso di testa a testa fra Pd e M5s, Malan chi voterebbe? Il senatore se la cava così: «Sulle singole proposte sono più vicino ai democratici, ma se il Pd resta quello che ha approvato questa legge sarei tentato di votare i Cinque stelle». Tonini taglia corto: «La verità è che si vuole cercare il pelo nell'uovo per fare un dispetto a Renzi. Se vince il no, l'Italia tornerà in una fase di turbolenza politica ed economica: speriamo bene».

Frizioni interne: Bersanellum e Parisi
Il combinato disposto riforma costituzionale-Italicum divide anche all'interno dei rispettivi schieramenti. Nel Pd, la minoranza preme per modificare la legge elettorale. Il cosiddetto “Bersanellum”, però, è bocciato da Tonini: «Positivo cercare di gestire il dissenso dentro una prospettiva unitaria – osserva – ma questa proposta, basata sul turno unico, non porta né maggiore stabilità, né maggiore rappresentatività: non credo sia in grado di mettere in discussione l'Italicum». Sul fronte del centrodestra, invece, sono i giorni dell'investitura di Stefano Parisi come nuovo leader da parte di Silvio Berlusconi: l'ex candidato sindaco di Milano viene tacciato di ambiguità sul tema referendum. Malan è freddo: «Nelle interviste di questi giorni si è schierato per il no e voglio credere che la pensi realmente così. Certo, se lo avesse detto prima delle elezioni magari avrebbe preso anche i voti di Lega e Cinque stelle e adesso sarebbe sindaco…».

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