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Nibali cade in discesa, sfuma il sogno olimpico dello Squalo

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Rio 2016

Nibali cade in discesa, sfuma il sogno olimpico dello Squalo

(Italy Photo Press)
(Italy Photo Press)

Il sogno a precipizio lungo una discesa ombreggiata e traditrice. Vincenzo Nibali, che aveva costruito la sua stagione sulla corsa in linea di Rio, si ferma a 11 chilometri dalla storia e dalla gloria coinvolto, con uno dei compagni di fuga, il colombiano Sergio Henao, in una caduta che li ha messi fuori gioco entrambi e che è costata al ciclista siciliano la frattura della clavicola. A quel punto il terzo uomo al comando, il polacco Rafal Majka aveva strada per arrivare da solo sul traguardo. Ha pedalato con eleganza e compostezza, ma da dietro sono rientrati, a tre chilometri dalla fine, il danese Jakob Fuglsang e il belga Greg Van Avermaet.

Lo hanno raggiunto e con il polacco si sono giocati le medaglie. Oro (a sorpresa) al belga, secondo il danese e dietro Majka, generoso fino in fondo ma arrivato coi crampi. Era riuscito a schivare la caduta di Nibali ed Henao ma il corpo ha ceduto a un passo dalla gloria. Sesto è arrivato Fabio Aru, protagonista di una gara generosa che, a una ventina di chilometri dalla fine, sembrava averlo escluso.
È stata una grande corsa, una di quelle che riconciliano con la voglia di agonismo, tattica e anche fortuna, peccato solo che lo sprint a tre non abbia visto maglie azzurre. Nibali sapeva bene che la corsa all'oro meritava dei rischi, se il è presi in discesa, durante il terzo circuito della Foresta di Tijuca e quella maledetta curva a destra se la ricorderà per sempre ma ai tifosi e agli occhi del mondo regala una corsa di grande intelligenza tattica e abnegazione. Avrebbe potuto attaccare con più terminazione verso i 20/18 chilometri dalla fine ma non se l'è sentita. Aveva addosso il fiato di Henao e Majka, che, dei tre era il più fresco, avendo scelto una gara sorniona, attendista, di studio degli avversari, una corsa di tattica e precisione che non gli è bastata per l'oro.

Ha vinto chi ha resistito di più, ha vinto chi ha saputo attendere e attaccare, chi è riuscito a leggere la strada senza farsi travolgere dal desiderio di strafare. L'aveva detto il ct Cassani “mai visto un percorso così difficile, così duro”, con i suoi 237,5 chilometri, i 4mila metri di dislivello con pendenze al 19 per cento. Sembrava un tracciato disegnato sulle caratteristiche di Nibali ma una curva ha rovinato tutto.
Onore al sesto posto di Aru, anche perché, dopo oltre sei ore in sella, è riuscito a rientrare e cercare un piazzamento, che ha un suo peso, vista la difficoltà della gara e la grande selezione che è stata fatta. In fondo, dopo oltre sei ore, a due minuti dall'arrivo di Van Avermaet, erano arrivati solo nove ciclisti, e questo racconta una gara che più che una corsa di una giornata è quasi stata un tappone da grande giro. Onore ad Aru e a Nibali anche per quello scambio di borraccia quando si era ancora lontani dal traguardo: erano in dodici in quel momento, c'era anche Damiano Caruso, e i due fuoriclasse italiani si sono scambiati il contenitore dell'acqua, quasi a dire “andiamo uniti e ce la faremo”. Così avevano studiato con il ct Davide Cassani.
La corsa, durante la quale è stato fatto esplodere uno zainetto sospetto, si è sviluppata da Copacabana a Copacabana: prima il circuito di Grumari, poi quello della Foresta di Tijuca, ripetuto tre volte con le sue salite e discese da vertigine, e la discesa di 5,8 chilometri con altri 12 chilometri verso il traguardo ai piedi del Forte di Copacabana in uno scenario magico fra cielo e oceano.
L'inizio della gara era stato caratterizzato da una lunga fuga iniziata dopo 10 chilometri, in cui aveva recitato anche Alessandro De Marchi. Il gruppo aveva lasciato fare con i fuggitivi anche ad alcuni minuti di distanza, ma poi i top si sono messi a mulinare le gambe e la corsa è diventata avvincente, con continui scatti e contro-scatti in salita, mentre le discese ubriancanti facevano selezione in un panorama con scenari che parevano venire da molti mondi: il pavé come nelle più dure classiche del Nord, gli strapiombi sul mare come in Liguria, alcune ascese come verso il Ghisallo, nel verde avvolgente e rigoglioso. Nibali, che è stato portato in ospedale per accertamenti, e la squadra azzurra ci sono sempre stati. Era un equilibrio precario riuscire a staccare senza rischiare i ruzzoloni. Serviva un equilibrista. A Nibali è mancata la magia dei funamboli.

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