Dentro l’Europa ma fuori dall’euro, se i cittadini lo vorranno. Mentre il Vecchio Continente continua a fare i conti con lo shock Brexit, il M5S insiste sull’exit strategy dalla moneta unica, fondata innanzitutto su un referendum consultivo, sul modello di quello voluto dal governo Andreotti nel 1989, che servirebbe intanto ad aprire il dibattito su un futuro senza euro. O al limite con un euro a due velocità, più rispettoso delle economie dei Paesi del Mediterraneo, che è la ricetta controversa riproposta dal Nobel Joseph Stiglitz in un intervento pubblicato il 17 agosto sul Financial Times.
Se da domani, a 72 anni dal Manifesto di Spinelli, Ventotene torna sotto i riflettori per il vertice Renzi-Merkel-Hollande, il M5S fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio - sempre più impegnato ad accreditarsi come forza di governo - chiarisce la posizione ufficiale sull’Ue che gli è costata più di un malumore tra gli attivisti. A chi li accusa di aver fatto retromarcia per indossare una veste più moderata, i pentastellati replicano seccamente: «Mai sostenuto di voler uscire dall’Europa». In realtà negli ultimi tempi è stata necessaria una “limatura” delle anime più euroscettiche, anche per ritagliarsi uno spazio autonomo tra l’alt netto all’Europa – modello Salvini, Farage e Le Pen – e la permanenza nell’Ue così com’è, che ai Cinque Stelle non è mai piaciuta. Una terza via «tra il disfattismo della Lega e l’europeismo cieco del Pd». Ma la fattibilità del piano è tutta da verificare.
Il referendum consultivo
«Il M5S non ha mai detto un no secco all’Europa», sostiene il deputato Carlo Sibilia, uno dei cinque componenti del direttorio. «Ci siamo presentati nel 2014 alle europee proprio per cercare di modificare alcune cose. D’altronde, se l’Europa ora non fa due più due dopo lo scossone Brexit non ci sarà molto spazio per le forze politiche che non vogliono cambiare». A Strasburgo i pentastellati hanno votato contro la risoluzione post-Brexit insieme a Farage, Le Pen e sinistra radicale. David Borrelli, co-capogruppo con Farage del gruppo Efdd, difende la scelta: «I cittadini inglesi hanno deciso di uscire dall’Europa e per noi è giusto che non sia l’Europa a decidere i tempi dell’addio: sarebbe un’ingerenza».
Che cosa succederebbe dunque se i Cinque Stelle andassero al governo? Sibilia conferma la volontà di dare la parola ai cittadini con un referendum consultivo «sull’adozione di una nuova moneta nell’ordinamento nazionale in sostituzione dell’euro», come proposto dal disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare presentato in Senato a giugno 2015 (atto S 1969). Il ddl, finora sostenuto soltanto dalla Lega, fa leva sugli articoli dal 139 al 144 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, che distingue tra i Paesi che hanno aderito volontariamente alla moneta unica e quelli “con deroga”, come Danimarca e Regno Unito e come tutti quelli entrati successivamente, dalla Svezia alla Romania. Secondo i Cinque Stelle, anche in assenza di una disciplina specifica sul “passo indietro”, è sempre possibile per gli Stati aderenti chiedere il passaggio al regime con deroga ai sensi dell’articolo 139 del Trattato, previa determinazione del tasso di cambio tra la nuova moneta e l’euro.
Quanto alla praticabilità del referendum consultivo, Sibilia cita come precedente quello indetto nel 1989 dal governo Andreotti per attribuire al Parlamento europeo un mandato costituente. La consultazione, aggiunge Borrelli, «servirebbe ad aprire anche in Italia un vero dibattito sull’euro, visto che nessuno ci ha mai chiesto se volevamo aderire, dando finalmente voce ai cittadini. Servirebbe anche a capire meglio cosa succede se usciamo».
No all’equazione euro=Ue
Spiega Sibilia: «Per noi la vera domanda è: vogliamo identificare l’Europa con la moneta unica? Io rifiuto questa equazione. Dire che l’Europa è l’euro è un’offesa ai processi politici che la hanno generata: significa ammettere che la moneta è un metodo di governo». Spietata la diagnosi: «Io credo che l’euro abbia fatto il suo tempo e che non ci saranno tragedie se lo abbandoniamo. È una moneta troppo forte rispetto alla nostra economia. Abbiamo perso il 26% di industria manifatturiera, abbiamo iniziato ad acquistare all’estero e a dismettere la produzione interna». Borrelli rincara: «Noi siamo per l’Europa della condivisione, il nostro programma era ed è lavorare per tornare a una comunità europea dove gli Stati si aiutino tra loro, dove ci sia libera circolazione di cittadini e merci. L’eurobond, mettere in comune il debito, vuol dire più Europa».
Il nodo del debito
La tesi del M5S è che sia quindi possibile uscire dall’euro e lavorare per recuperare lo spirito dell’Unione delle origini. Riprendendosi la sovranità monetaria e il controllo sul debito. Osserva Sibilia: «L’Italia è strozzata da un debito pubblico a quota 2.200 miliardi. Non possiamo accettare che continui ad aumentare all’infinito perché lo dobbiamo a un gruppo di banche private che possono acquistare titoli di Stato». Secondo i Cinque Stelle, i 3.100 miliardi di interessi sul debito accumulati in trent’anni sono una «mostruosità», fondi sottratti ai servizi primari, dalle pensioni alla sanità: continuare significa smantellare lo stato sociale. Nel mirino finisce la Bce, «un privato - afferma Sibilia - che decide la quantità di euro che circola: la cessione è di fatto un prestito agli Stati a zero tassazione per i privati che la emettono. Io vorrei che l’Italia iniziasse a riassicurare il primato della politica sulla gestione economica. Non possiamo permetterci di fare riforme come il Jobs Act o come la legge Fornero perché dobbiamo rientrare nei parametri europei, rispettare i patti di stabilità e il Fiscal Compact». Che i Cinque Stelle guardano come il fumo negli occhi: «Lacci e lacciuoli - li definisce Borrelli - che asfissiano il nostro Paese».
Ripubblicizzare Bankitalia
La soluzione, a loro avviso, sta nel ritorno alla moneta emessa dallo Stato, con Bankitalia ripubblicizzata (una proposta di legge in tal senso è già stata presentata) che torni prestatore di ultima istanza. Gli interessi richiesti, insieme all’avanzo primario positivo - è la tesi - consentirebbero ai tassi di restare sotto controllo e di tenere a bada il panico da spread. Il resto lo farebbe la ripresa. Ma i Cinque Stelle non chiudono la porta neppure alla vecchia ipotesi di un euro a due velocità, un’alleanza dei Paesi del mediterraneo con economie simili che possano condividere politiche industriali, fiscali, immigratorie. «Lo offriamo come elemento di discussione», dice Sibilia. «Italia, Germania, Europa non sono gli Usa. Non siamo un’economia di multinazionali: in Italia il 98% del tessuto produttivo è costituito da piccole e medie imprese. Dobbiamo salvaguardarle, mentre finora le abbiamo devastate».
Gli argini al default
Molti economisti concordano sulla eccessiva forza dell’euro rispetto alle deboli spalle dell’industria e dell’export italiano, ma mettono in guardia dagli effetti a catena che l’abbandono dell’eurozona potrebbe scatenare: inflazione, materie prime più care, tassi in rialzo, insolvenze sui bond. E quindi un default di Stato, enti locali, banche e imprese che hanno emesso prestiti obbligazionari sui mercati internazionali. I Cinque Stelle, nelle loro linee guida, replicano: il 94% del debito è sotto legge italiana e sarebbe definito nella nuova valuta nazionale, senza il rischio di insolvenze.
L’inflazione non eroderà il potere d’acquisto, perché partiamo da uno stato di deflazione, e aiuterà il debitore, anche pubblico. La svalutazione del cambio rilancerebbe la domanda estera e farebbe ripartire le imprese. Una ricetta che però in Argentina non ha funzionato. Ma Sibilia parla di politica che non ha saputo cambiare: «L’Argentina ha insistito con le stesse politiche senza adattarsi agli scenari mutati. Per farlo servono forze libere e governanti lungimiranti. E occorre prima di tutto uno Stato efficiente: è una sfida e siamo pronti per affrontarla».
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